giovedì 26 febbraio 2009

l'angolo del buonumore

un prete giocava a golf e una suora gli portava le mazze. dopo un percorso perfetto, arrivato alla nona buca, gli manca solo l'ultimo putt. si concentra, tira, ma sbaglia: "cazzo, l'ho mancato!"
la suora inorridisce per la parolaccia.
il prete si scusa, si concentra e ritenta, ma sbaglia di nuovo: "cazzo, l'ho mancato"
la sorella inorridisce ancora di più, allora il prete promette solennemente: "che dio mi fulmini se pronuncerò un'altra parolaccia!"
il prete si concentra, tira e sbaglia ancora: "cazzo, l'ho mancato!"
allora, improvvisamente si squarcia il cielo e cade un fulmine, che però colpisce in pieno la suora.
si aprono le nuvole e appare il padreterno: "cazzo, l'ho mancato!"

lunedì 23 febbraio 2009

note a margine

saranno ormai trentacinque anni che ascolto atom heart mother suite, e non riesco a trovarci un difetto, che so: una nota fuori posto, qualcosa di troppo corto o troppo lungo, un suono che non vada esattamente bene.

no, non c'è.

giovedì 19 febbraio 2009

non solo x-factor

chi conosce morgan solo attraverso le sue esibizioni ad x-factor pensa, legittimamente, che sia un personaggio in preda a un delirio dettato da stati di coscienza alterati. in realtà è così, ma c'è un morgan pre-x-factor non trascurabile.

come musicista, morgan forse non è dei più originali, ma conosce tantissima musica, dei generi più svariati, e si compiace di citarli continuamente nelle sue composizioni. un qualsiasi disco dei bluvertigo è una summa di stili differenti, di richiami a maestri ed esempi di qualsiasi genere musicale rock-pop vi possa venire in mente: brit pop, kraut rock, melodico italiano, progressive, you name it. per questo stupisce la presenza in catalogo di canzoni dell'appartamento, un disco del 2003 uscito solo a suo nome e, tutto sommato, monotematico nella scelta del genere musicale, visto che ci si attiene quasi esclusivamente alla melodia italiana, quella che sta nel dna di chiunque abbia più di 30 anni, e riconoscibilissima fin dall'inizio: non appena comincia altrove pensate che il vostro programma peer to peer vi abbia scaricato il disco sbagliato, tanto somiglia a qualsiasi canzone di mina degli anni '60 che vi venga in mente.

la musica non cambia per i brani che seguono: tutt'al più sembrano le cover - sempre degli anni '60 - che i gruppi italiani facevano di successi inglesi o americani, e tanto per non smentirsi, di cover vere e proprie ce ne stanno ben due: non arrossire, del gaber del periodo disimpegnato, e una traduzione un po' tirata per i capelli di if dei pink floyd.

in generale, arrangiamenti curatissimi e impeccabili, oltre a svariati divertissements che qualche futuro esegeta potrebbe divertirsi a scovare tra le pieghe dei singoli brani: suoni provenienti dal microcosmo dell'appartamento in cui morgan si era davvero recluso, per cercare l'ispirazione per il disco che aveva in mente: dall'interferenza di un telefonino al suono di un piano giocattolo e chissà cos'altro. pure i testi rispecchiano la volontaria clausura del periodo e tutte le microesperienze che attraversava allora, con punte di genialità, come in the baby, dove resta in bilico tra la descrizione di un neonato vero e quella del bambino che (forse) ognuno di noi vorrebbe (tornare ad) essere. adoro la parte dell'inciso, dove dice:

vedo gli alberi camminare
e la luce del sole che si può mangiare
le posate che si sposano
e i dischi che si rifiutano
di farsi ascoltare
dalle orecchie sbagliate

se smettesse di credersi un dandy fuori tempo massimo e soprattutto pippasse un po' di meno, gli si potrebbe anche voler bene.

venerdì 13 febbraio 2009

musica d'uscita (per un film)

oggi faccio un'eccezione e parlo del testo di una canzone. di solito il testo è la parte di una canzone che meglio mi sfugge, la musica cattura tutta la mia attenzione. se è cantata in una lingua straniera, meglio, perché così afferro di meno il senso delle parole. e poi va detto che molte canzoni rock hanno un testo che sta lì solo per permettere al cantante di emettere dei suoni. ma in questo caso analizzare il testo mi serve per dimostrare la cura estrema che mettono i radiohead nel proporre al pubblico i frutti del loro ingegno.

parliamo di exit music (for a film), da quell'assoluto capolavoro che è ok computer (i dissenzienti verranno decapitati a parte). la canzone parla inequivocabilmente del suicidio di una coppia adolescente. malignando, si potrebbe pensare che il creep dell'album precedente abbia trovato la sua anima gemella e che insieme soccombano sotto il peso della loro sfiga, ma queste sono illazioni di bassa lega, roba da presidenti del consiglio.

evidentemente, anche nel regno unito hanno un taormina che, potenzialmente, avrebbe potuto minacciare di denunciare yorke per istigazione al suicidio, quindi i radiohead si sono premurati di stemperare, per quanto possibile, i toni della canzone, che purtuttavia mantiene intatto il suo portato tragico. intanto, il titolo mette subito tra parentesi che stiamo parlando di finzione, e già questo ci rassicura non poco; poi, la canzone è la quarta del cd, quindi in una posizione piuttosto neutra: metterla alla fine sarebbe stato un colpo di teatro eccessivo, e davvero sarebbe stato troppo equivoco. per terminare l'opera, viene fatta seguire da no surprises, con la sua rassicurante melodia ballabile.

ciononostante, il timore che, finito il pezzo, yorke e la sua ragazza si buttino sui binari della metropolitana assale l'ascoltatore come un incombente senso di colpa. yorke è credibile, perché ha scelto le parole giuste:

wake from your sleep
the drying of your tears
today we escape, we escape

tre versi, e il dramma è già compiuto: la notte passata insieme, ma in maniera tormentata. evidentemente qualcosa lacera le coscienze dei due, un dolore intollerabile che lascia un'unica via di uscita, ed è agghiacciante la risolutezza espressa con la semplicità dell'annuncio: oggi noi due scappiamo da tutto questo.

pack and get dressed
before your father hears us
before all hell breaks loose

bisogna fare presto, in silenzio e in segreto. non tanto perché la presenza di estranei potrebbe impedire la concretizzazione del loro intento, ma perché c'è un rito da compiere, qualcosa di comprensibile solo per i pochi iniziati.

breathe, keep breathing
don't lose your nerve
breathe, keep breathing
i can't do this alone

come dire: questa cosa ha senso solo se fatta insieme. ci vogliono solo quattro parole per esprimere il senso estremo della complicità: un essere banale affermerebbe senza di te non posso vivere.

sing us a song
a song to keep us warm
there's such a chill, such a chill

tutti i momenti solenni hanno una colonna sonora. o no?

you can laugh
a spineless laugh
we hope that your rules and wisdom choke you

facile intuire chi siano i voi a cui ci si rivolge: arrivati a quel punto di solitaria complicità, voi è tutto quello che non è noi, e contemporaneamente è ciò che ci impedisce di essere noi in maniera compiuta - le motivazioni di ciò sono ininfluenti: noi siamo nel giusto a prescindere, e siccome ci impedite di dare corpo ai nostri desideri, abbandoniamo il gioco. strozzatevi, con la vostra risata, la vostre regole e il vostro buonsenso.

now we are one
in everlasting peace
we hope that you choke, that you choke

è fatta, tutto è compiuto. noi, nel passaggio da uno stato all'altro dell'esistenza, abbiamo raggiunto uno stato superiore di consapevolezza. voi siete rimasti quelli che eravate, e altro non meritate che il vostro buonsenso vi vada di traverso.

passano i titoli di coda, e si passa alla traccia 5. un trafiletto in cronaca racconterà solo la fine disgraziata di due giovani, starà ad altri il porsi domande, seppure con colpevole ritardo.

buon san valentino.

mercoledì 11 febbraio 2009

giochini innocenti

visto il considerevole numero di lettori, mi preparo a un diluvio di risposte. vabbè, farò buon viso a cattiva sorte, e dopotutto me la sarò cercata. lo propongo lo stesso.

immaginate la vita standard di qualcuno che appartenga a una qualsiasi categoria, e descrivetela con animo cazzaro. mi spiego con un esempio: un matematico standard abiterebbe in una frazione, per andare in centro prenderebbe un mezzo, mangerebbe pane integrale, frequenterebbe un circolo, vorrebbe poter lavorare per il pentagono, in sostanza sarebbe un tipo quadrato.

buon divertimento.

martedì 10 febbraio 2009

children of vision

meno male che ganfione è in letargo: sicuramente, a seguire le vicende politiche del paese in questi giorni, gli si sarebbero fritti i pochi neuroni.

nella vita precedente di questo blog, a un certo punto commentavo che la musica sarebbe stata l'unica cosa seria di cui si sarebbe parlato nel blog: non credo di smentire la mia affermazione di allora se scrivo due righe sul modo in cui è stata trattata la triste vicenda della famiglia englaro, perché tutto vi si può ravvisare fuorché serietà.

è già abbastanza orribile trovarsi a sopravvivere ai propri figli, in nome di cosa dovremmo prolungare ai genitori lo strazio di vedere ogni cazzo di giorno quel loro figlio, che manifestamente vivo non è più, tenuto in uno stato che mi riesce difficile definire, perché vita non è? qualcuno mi spiega il cazzo di motivo per cui ci si dovrebbe ostinare a far correre meccanicamente il sangue nelle vene di un corpo morto?

e, nel caso di fattispecie, questo strazio era durato già diciassette anni, ci vuole una protervia non indifferente per volerlo ulteriormente prolungare, forse indefinitamente. diciamo che è come condannare qualcuno all'ergastolo. diciassette anni, ragazzi: per uno stupro si prende molto meno.

ma quel che mi sono perso è il passaggio tra un prima, quando ti dicevano: questa nuova legge (che amplia le tue libertà) non si può approvare perché la chiesa non vuole, a un dopo, in cui ci dicono adesso facciamo urgentemente una nuova legge che limita le tue libertà, perché la chiesa vuole così. il tutto condito da varia retorica da cui è esclusa ogni forma di vergogna, per non parlare dello spirito critico.

evidentemente, chi agisce in un certo modo è certo dell'impunità: viviamo nella cultura della televisione, siamo abituati a pensare in termini di scoop giornalistici, di colpi a sensazione, di intrusione nella vita privata a scopo guardon-esibizionistico, spesso con il consenso e l'avallo dell'interessato, e tutto questo ci pare normale, perché una cosa simile è alla portata di tutti, e tutti abbiamo voglia del nostro quarto d'ora di immotivata celebrità. altrettanto ovviamente, se chiunque può diventare famoso, chiunque può esprimere un'opinione. questo genera il governo del bar dello sport, dove ha ragione chi la spara più grossa, e non ci si vergogna minimamente - per esempio - di dare dell'assassino a qualcuno, proprio come se si stesse al bar, e le litigate nascessero e poi si ricomponessero davanti a un grappino, con una pacca sulla spalla. non ci far caso, avevo bevuto.

questi però pretendono di essere sobri, e quindi il sospetto del dolo mi pare legittimo.

l'augurio, l'auspicio, che è l'unica cosa seria di questo post, non a caso lo lascio alla musica. sembra che i supertramp avessero già visto quel che succede qui oggi, e già nel 1979 invitavano i figli della (tele)visione a reagire, a far qualcosa per sé e per il resto del mondo.

martedì 3 febbraio 2009

i neri hanno il ritmo nel sangue

sarà una banalità e senz'altro un luogo comune, ma basta ascoltare in che modo un bianco e un nero trattano la stessa musica, e te ne rendi conto. e in ogni caso, difficilmente un bianco prenderà il ritmo come perno centrale della sua ricerca musicale; quando lo fanno, però, sbancano. esempi? stewart copeland: i police erano opera sua, e non si può dire che facessero della melodia una loro caratteristica spiccata. vero che c'era sting a cantare e che, vista la sua carriera postuma, non si può dire che non sia una bella testa di crooner, ma se qualcosa dei police rimane, è il loro atteggiamento di fusione di ritmi funky e reggae, non certo every breath you take.

oppure paul simon. ha scritto tutto lo scrivibile in termini di melodie chewing gum, quelle che ti si appiccicano addosso e non se ne vanno più (per fortuna), poi ha scoperto i musicisti africani, e il loro modo di trattare qualsiasi strumento come se fosse un tamburo lo ha stregato. ne son venute fuori perle come graceland e the rhythm of the saints.

o quello che ascoltavo l'altro ieri: david byrne, con e senza i suoi talking heads. si è dimenato un po' tra canzoncine e new wave, poi, grazie all'incontro con brian eno (sempre lui), gli si è aperto il cervello e la sua visione ha cominciato a contemplare intrecci ritmici che fino ad allora aveva soltanto intuito. ascoltare, tanto per dirne una, come si apre fear of music, il disco dei talking heads del 1979: i zimbra è un pezzo completamente percussivo, non c'è melodia se non alcune cellule ripetitive, e qualsiasi strumento, voce compresa, viene usato in maniera percussiva, creando ritmi che si intrecciano l'uno con l'altro, fino a formare una trama così fitta da permettere di perdercisi dentro. il testo stesso si preoccupa più di riprodurre suoni e accenti là dove vanno, piuttosto che di esprimere un concetto finito, tant'è che non credo si tratti di parole in alcuna delle lingue conosciute.

da lì in avanti, è stata una vera e propria orgia ritmica, che ha avuto il culmine con l'ingresso nel gruppo di adrian belew, uno che usa la chitarra come un'accetta, ma con la grazia di un ballerino: suoni indistinti, urla, strepiti, magari bastonate sulle tempie, ma melodie, mai. chi riesce ad ascoltare stop making sense senza ballare, o è tetraplegico o è sordo.

sciolti i talking heads, byrne ha scoperto la musica latina, direttamente sul posto. uh oh e rei momo non sono solo raccolte di ritmi sudamericani, sono un omaggio, un tributo alle culture che hanno prodotto quei ritmi. stupisce che uno come lui, gay, esteta, innamorato del ritmo, non sia definitivamente rimasto a cuba o dintorni.

in fondo, che ci sarà mai, a new york?

riassunto delle puntate inesistenti



ganfione è quello che vedete in foto, microcosmos è dove abita. io sono un suo amico, quello che gli ha insegnato ad usare il computer, a scrivere i post. ganfione spesso viene a stare da me, questo stava per fargli saltare il letargo, cosa che gli avrebbe creato non pochi problemi, soprattutto mentali, visto anche che possiede neuroni in numero di dodici. durante il suo letargo, quindi, scrivo io. mi piace la musica.

a microcosmos non esiste il maiuscolo.