lunedì 16 marzo 2015

Vedi, fratello

Vedi, fratello che mi parli di persone ammirevoli che ce la fanno nonostante: quelle persone le ammiro anche io, e qualche volta mi ci son pure sentito, come loro. Magari per un po' mi son pianto addosso, ma dieci minuti, giusto il tempo di commiserare il fatto che nemmeno stavolta è andata come speravo, e posso invocare l'attenuante che son circa vent'anni che non è andata come speravo? Ma poi mi sono alzato dalla mia sediolina, e via, verso nuove incredibili avventure. O verso nuove sòle, chi mai può dirlo? In ogni caso, ti passo la critica, perché non ci vediamo da tanto.

Vedi, fratello che mi inciti indirettamente, con le parole che dici a te stesso quando proprio non va - e lo so che le stai dicendo a me ma fai finta perché c'abbiamo il nostro bel vissuto da permalosi e ci vuol niente per scatenare il vaffanculo (ma io ormai l'ho quasi riposto nel cassetto segreto) - io ti ringrazio anche per quelle parole, pure se mi si attagliano poco, perché io amo amare, e lo faccio ogni qual volta ne ho l'opportunità - figurati che ogni tanto porto pure i miei esperimenti culinari ai miei colleghi, perché anche se non vinceranno mai il premio nobel per la pace, son bravi cristi e a conti fatti sono i colleghi migliori che ho avuto. E continua a piacermi uscire, veder qualcuno e fare due chiacchiere, magari commentando uno spettacolo. Mi piace addirittura star mischiato in mezzo a gente con cui c'azzecco sega e che so che non conoscerò mai, ma mi sento un po' parte della festa anch'io, solo perché siamo là per lo stesso motivo. In fondo, ci vuol poco a farmi sentire parte di qualcosa. In ogni caso, ti passo l'incitamento, perché è da tanto che non ci vediamo.

Vedi, fratello che mi mandi le parole famose di personaggi che dovrebbero fare da esempio per tutti noi, nel mio piccolo son circa trent'anni (escludendo quelli precedenti, in cui mi son lasciato vivere aspettando lo sparo dello starter) che combatto la mia piccola guerricciola per affermare il diritto alla mia personale dignità, un sentimento che deriva dalla consapevolezza di possedere quella titolarità di pensiero di cui già: una guerra in cui ho vinto e perso battaglie e che ogni volta che posso insegno ai miei figli, manco fossi Sun Tzu; emergere dalla mediocrità è di per sé una guerra e, una volta che hai deciso da che parte stare, per quanti ne troverai simili a te, ogni battaglia la combatti tu solo contro il resto del mondo. E anche se hai fede estrema, ogni tanto il passo si fa incerto e il ginocchio trema. Ma non si piega, quello no. Sempre meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. Ma ci può stare che tu pensi che io non abbia più voglia di combattere e che il mio non-fare, non-essere, sia una scelta di autocommiserazione invece di una forzatura indotta. Anche io cerco di salvare capra e cavoli, finché si può: quando non si può più, vedo cosa posso sacrificare per riportare a casa almeno la pelle. Non sono uno stratega, è già miracoloso che io riesca a concepire un piano A, figurati se posso concepirne uno B. Ma quando il piano A fallisce, mi rimetto al tavolo, consulto i possibili piani di guerra e improvviso un altro attacco.

Io non mi arrendo
Mi avrete soltanto
Con un colpo alle spalle

Ma ci può stare che tu lo pensi, dicevo, perché non ci vediamo da tanto, e ci sentiamo poco, e male.

Per questo è il caso che mò ci vediamo, e parliamo, perché tu non pensi che io sia diventato uno diverso da quello che amavi.

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