giovedì 15 novembre 2012

riflessioni a margine di uno sciopero che io però no

ieri io son venuto al lavoro. i'm sorry, nun ce la posso fa', per tanti motivi. intanto, quello squisitamente egoistico che non me lo posso permettere. dice: facciamo uno sciopero contro l'austerità. oh yes! perché le uniche beneficiarie dell'austerità sono le banche. ok! e così il mese prossimo avrò una ritenuta di 50 euro sullo stipendio. sììì! e quindi il mio conto corrente scenderà (ulteriormente) in rosso! fuck yeah! scoperto su cui pagherò interessi. woo-hoo! che ingrassano le banche. yuu... hey, wait a minute...

dice: eh ma l'interesse personale dovrebbe essere messo da parte, perché a fronte di una imponente manifestazione popolare, chi ci governa non può restare sordo alle nostre istanze.

nella foto: angela merkel, christine lagarde, mario monti ed elsa fornero impressionati dallo sciopero

domanda 1: possibile che in 150 anni non si sia trovata una forma di protesta o/e di lotta diversa dallo sciopero? mettiamo il caso mio, di lavoratore dipendente di un'amministrazione pubblica che fa servizio amministrativo interno: chi minchia se ne accorge, se manco per un giorno? quale danno reco al mio datore di lavoro?

quelli come me, una volta si chiamavano crumiri, termine che, lei m'insegna, deriva dal nome della tribù tunisina dei Khumir [...], che acquisì notorietà verso la fine dell'Ottocento per le numerose scorrerie tra Tunisia e Algeria che diedero il pretesto alla Francia per occupare la Tunisia (fonte: Wikipedia). orbene, mettiamo che io vada in piazza a far numero per farmi vedere che siamo tanti e abbiamo le nostre ragioni da vendere. poi accade che un gruppo di testedicazzo si mette alla testa del mio corteo, si infila i passamontagna e i caschi e cerca di menare i poliziotti (io che ai cortei partecipavo già negli anni '70 ho sempre il sospetto che quelli che fanno casino e quelli che poi li reprimono provengano dalle stesse caserme, ma io sono un vecchio ex comunista dietrologo). e così finisce che i poliziotti menano anche te, me e lui e lei perché improvvisamente diventiamo tutti facinorosi.

domanda 2: questi (le testedicazzo di cui sopra, ammesso che non siano infilitrati) come li chiamiamo?

a corollario di tutto ciò, stamattina mi tocca leggere questo articolo in cui si magnificano le doti di parsimonia della disoccupata che non s'è persa d'animo e afferma di vivere con 5 euro al giorno per cinque persone. a parte che, per esperienza personale, dubito fortemente sulla veridicità dell'affermazione, trovo fuorviante, mistificatorio e anche disonesto fare pubblicità a queste forme di sopravvivenza al limite della miseria, facendole apparire come una valida alternativa e magari anche più sana rispetto all'esistenza industrializzata che siamo abituati a condurre (e tralascio i commenti sui commenti). certo, in mancanza di meglio, si sopravvive anche con poco più di niente: c'è anche gente che si riduce all'accattonaggio, vogliamo prendere esempio anche da loro?

(e questa era la domanda 3)

siamo sempre là: in italia non c'è spazio per il concetto stesso di aggregazione. mezza europa (quella metà che effettivamente dalla politica di austerità ci rimette soltanto) decide di manifestare, ma in italia allo sciopero aderisce solo la cgil. e finché ci sarà chi applaude quelli che applicano l'italica "arte di arrangiarsi", si instillerà nelle menti deboli (e negli ultimi vent'anni, grazie a voi-sapete-chi, ce n'è stata un'epidemia) l'idea che tutto sommato sì, ma in fondo che bisogno c'è dello stato, ce la possiamo anche fare da soli. e anche se siamo obbligati a pagare le tasse e coi nostri soldi ci pagano le puttane, sticazzi, noi possiamo vivere anche con un euro al giorno.

come no. e magari anche lavorare dodici ore al giorno, per quell'euro.


4 commenti:

  1. anch'io sono stanca. e mi vien da piangere.15 novembre 2012 alle ore 12:08

    amore, scaldo la macchina; quando sei pronto andiamo. e quando finisce la benzina, smontiamo e andiamo a piedi. vediamo dove arriviamo. e se non arriviamo, continuiamo a camminare.

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  2. lo so che sembra una rinuncia, ma io ho paura che la mia vita non sia lunga abbastanza da riuscire ad innescare un cambiamento sconvolgente nel dna dell'italiano che incontro: farlo diventare parte di una comunità. forse sbaglio io, ma non so come fare.

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    1. son 150 anni che ci si prova, direi che è ora di abbandonare l'italiano al suo destino e dichiararlo definitivamente incurabile. l'italiano si stringe a coorte solo quando c'è da difendere il diritto a parcheggiare in doppia fila.

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    2. poi dice che uno pensa solo a scopare. sì. è vero.

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Commenti chiusi.

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