"dai, già nelle locandine hanno messo fassbender e pitt prima di me,
non vi è nemmeno piaciuto il film?"
qualche bel giorno fa sono andato a vedere 12 anni schiavo. nel frattempo l'ha visto anche l'amore mio e non le è piaciuto pegnente e tutto sommato direi proprio che, ripensandolo col giusto distacco, l'oscar non è che se lo sia meritato così tanto. l'impatto emotivo, però, mi ha fatto passare in secondo piano ogni tentativo di analisi estetica o stilistica (quand'anche ne fossi in grado): alcune scene sono di una crudezza tale che ogni attenzione mi è stata rubata dall'empatia, dall'umana pietà. si badi bene, però: non sto parlando di crudezza in senso splatter, nonostante le scene di frustate e la carne viva esposta - la passione di cristo, da questo punto di vista, rasentava la pornografia e forse proprio per questo non riusciva a risultare emotivamente coinvolgente - ma di crudezza come esposizione nuda di avvenimenti evidentemente disumani come se fossero normale amministrazione, senza la spettacolarizzazione a cui hollywood ci ha abituati. non c'è autocompiacimento nel mostrare la progressiva disumanizzazione del protagonista che, nel suo personale calvario, via via rivede costantemente al ribasso le sue aspettative nei confronti della vita.
se il film ha avuto un merito ai miei occhi, è proprio quello di farmi sorgere una riflessione su questo: su fin dove sia lecito abbassare la soglia delle proprie aspettative senza tradire la propria intima essenza. all'inizio della sua nuova vita da schiavo, northup pronuncia la famosa frase (come sani gesualdi): "io non voglio sopravvivere: voglio vivere!" - però, alla fine, è questo che fa: sopravvive, aspettando con giobbesca pazienza il momento in cui i tempi saranno maturi per tornarsene a casa sua, cosa che d'altra parte avviene solo grazie all'intervento del deus ex machina in sembianza di brad pitt con una barba da amish.
sopravvive facendo il bravo negro, compiacendo il suo padrone con le proprie abilità messe al suo servizio; sopravvive miracolosamente a un'impiccagione; sopravvive ai soprusi, agli inganni, alle frustate; alla fine, diventa egli stesso un aguzzino e frusta a sangue lupita n'yongo, e pure male: il padrone schiavista non è contento (e men che meno la di lui moglie gelosa) e non è contenta lei, che avrebbe voluto morire piuttosto che continuare una vita di soprusi. alla fine, quando lo sceriffo lo viene a prendere, sale sul calesse, saluta tutti e se ne va, e in culo tutti gli altri.
sì, vabbè, poi ha scritto l'autobiografia e ha fatto comizi per l'abolizionismo. dopo. solomon, ma non volevi vivere? e in quei dodici anni, che hai fatto? e quanti anni si possono lasciar passare, o quale gradino della scala dell'abiezione, della rinuncia si può scendere, prima di rassegnarsi all'idea che la tua vita non è più nemmeno sopravvivenza?