lunedì 26 gennaio 2015

"pensavo di avere più tempo"


lo dico subito: boyhood è un film monumentale, e con questo mi unisco alla nutrita schiera dei suoi elogiatori: non andare a vederlo sarebbe solo un errore.

protagonista vero e unico di quasi tre ore di proiezione è il tempo, e con lui le modificazioni che avvengono interiormente ed esteriormente nelle persone. la crescita di mason ne è l'esempio più evidente, ma tutti indistintamente subiscono l'avanzare del tempo e le modificazioni che lentamente ma inesorabilmente accadono.

tutto quello che, in duecento altri film che abbiamo visto, sarebbe stato un pretesto per uno "scatto" in avanti o indietro del protagonista, la scintilla che gli cambia la vita, qui è in sottofondo, uno dei tanti eventi che la vita ti pone davanti nel tuo cammino. trovo geniale, per esempio, l'intuizione di linklater di aver inserito oggetti tecnologici in ogni fase della narrazione, come se avesse saputo dall'inizio "come andava a finire", cioè che la tecnologia, specialmente quella applicata alla comunicazione, sarebbe andata a costituire parte integrante della vita di molti, e questo non avviene in maniera puntiforme, non esiste un prima e un dopo, tutto è un lungo durante che non ha un inizio né una fine, perché noi diveniamo ciò che siamo giorno per giorno, in una lenta costruzione di episodi in apparenza insignificanti.

questo film è l'esemplificazione estrema di quel che diceva john lennon: "la vita è quel che ti succede mentre fai programmi". tutti quelli che nel film credono nelle regole immutabili e che cercano di imporle sono destinati a fallire, mentre meglio riesce chi sa adattarsi al mutare delle condizioni, magari anche rivedendo al ribasso le proprie aspettative, o cambiando punto di vista sulle cose in maniera anche radicale. come dice la ragazza nel dialogo finale: sai quando qualcuno ti dice "cogli l'attimo"? non lo so, io invece credo che succeda il contrario: nel senso che è l'attimo che coglie noi. e con queste semplici parole viene ribaltato tutto un sistema basato sulla rigida programmazione, sulle regole da seguire per il successo. chi si aspetta qualcosa dalla vita, come una sorta di ricompensa per quel che si è fatto e costruito, può solo constatare - anche con amarezza -  che non esiste niente di tutto questo, anche se non è esattamente vero che, una volta che tuo figlio se ne va via da casa, "non rimane che morire". non puoi fare affidamento su quel che pensi sarà il tuo futuro, perché è il concetto di futuro che è ingannevole di per sé: tutto ciò che esiste è qui ed ora. e linklater lo dimostra con un qui ed ora lungo dodici anni.

qualcuno, in una critica non ricordo dove, ha lamentato che nel film "non succedesse niente". è vero, in questo senso è un film molto poco hollywoodiano: quando il patrigno (uno dei) di mason si lancia in un sorpasso azzardato in preda all'alcool, l'auto non sbanda, non decolla sfruttando il parafango di un'altra parcheggiata e poi non esplode in volo, che è esattamente ciò che il più delle volte (fortunatamente) accade nella vita reale: a pochi sfortunati capita di pagare direttamente per le cazzate che fanno, più spesso un bello spavento è tutto quel che se ne ricava. più volte durante il film mi è venuto in mente il monologo finale di the big kahuna (e credo proprio che linklater lo avesse in mente anche lui): molti grandi sistemi di pensiero, ivi incluse le religioni, che pretendono di insegnarti come si sta al mondo attraverso precetti e divieti imposti a suon di dogmi sono tanto meno efficaci di poche, semplici istruzioni per l'uso, tipo: "non dimenticarti il filo interdentale".

lunedì 19 gennaio 2015

and this is why we can't have nice things


sono andato a vedere storie pazzesche, film argentino di damiàn szifron, nell'ambito dell'iniziativa cineforum dei cinema the space, quindi con critico in sala che cura un'introduzione e il dibattito al termine (alla notizia che ci sarebbe stato un dibattito, non ho potuto non pensare a moretti, ma vabbè).

aver visto il film aiuterebbe a comprendere il mio punto di vista, ma diciamo che l'esposizione asciutta della trama che fa wikipedia potrebbe essere sufficiente; un altro indizio sta nel doppio senso del titolo, che nella traduzione va perso: infatti relatos salvajes sta sì per storie assurde, se vogliamo, pazzesche, ma anche per storie selvagge, che è invece il punto centrale della faccenda. in effetti, in ogni storia viene raccontata la personale indulgenza del/dei protagonista/i verso una reazione violenta, a volte sproporzionata, quasi sempre irrazionale. difficile riuscire, di volta in volta, a mettersi dalla parte dell'offeso o dell'offensore: in qualche modo, tutti hanno torti da riparare o per cui fare ammenda.

questo, se siete persone di intelligenza media e capaci di spirito critico nei confronti di un'opera dell'ingegno umano.

se invece siete dei minus habentes, sarete tentati di schierarvi con l'uno o con l'altro fino a pensare che "aveva ragione" e magari anche che "ha fatto bene a fare ciò che ha fatto".

quante volte sentiamo la classica invettiva da bar contro la burocrazia e le vessazioni a cui siamo costretti a causa sua con il suo classico finale "ma tanto prima o poi ci metto una bomba"? ecco: nell'episodio "bombita" (bombetta) succede esattamente questo: un ingegnere esperto in demolizioni subisce - per due volte: no comment - la rimozione dell'auto parcheggiata in sosta vietata. esasperato da quello che ritiene un abuso, in aggiunta a una delicata situazione familiare, tanto che la moglie chiederà il divorzio e l'affidamento esclusivo della figlia, nonché dal muro di gomma che gli viene opposto dall'ottusità degli impiegati pubblici a cui si rivolge per ottenere "giustizia", prima dà in escandescenze prendendo a copi di estintore il vetro divisorio di uno degli uffici, poi elabora una più complessa "vendetta", facendosi rimuovere di nuovo l'auto, stavolta con il bagagliaio pieno di esplosivo. "bombetta" viene condannato dalla giustizia ordinaria, ma assolto con formula piena dall'opinione pubblica, ivi compresi i suoi compagni di galera e la moglie ravveduta, che lo acclamano (tutti) come un eroe, una sorta di vendicatore.

per fugare ogni equivoco, espliciterò come la penso. seguiamo il percorso di "bombetta" durante l'episodio a lui dedicato: si attarda al lavoro senza un motivo reale, parcheggia in sosta vietata (onestamente, non ho fatto caso se si vedesse o no il divieto, ma mi pare strano che fosse del tutto invisibile) davanti alla pasticceria dove deve ritirare il dolce per il compleanno della figlia, gli viene portata via l'auto dal carro attrezzi, va a recuperare l'auto e per far tutto questo fa irrimediabilmente tardi per la festa della figlia. a casa, la moglie gli rimprovera di essere poco presente per la famiglia e gli comunica che questo avrà delle conseguenze. il giorno seguente, si reca presso un secondo ufficio comunale per protestare contro l'iniquità (a suo dire) della sanzione patita, ma l'impiegato ha dalla sua il verbale dei vigili e comunque non può accogliere reclami. l'ingegnere dà in escandescenze e cerca di spaccare il vetro divisorio a copi di estintore: viene allontanato dalla sicurezza e portato in carcere. qualche applauso, però, sorge spontaneo tra gli altri, in fila agli sportelli. l'avvocato che lo fa uscire gli fa presente che la pubblicità che il suo gesto ha inevitabilmente avuto non è stata gradita dalla ditta per cui lavora, che ha deciso di fare a meno di lui. questo gioca a suo sfavore nell'udienza preliminare per il divorzio: il comportamento violento dimostrato e la temporanea disoccupazione sono argomenti sufficienti per far decidere al giudice contro l'affidamento congiunto. successivamente, si reca presso un'altra ditta per ottenere un colloquio di lavoro, ma trova ad accoglierlo solo diffidenza; in aggiunta, ha parcheggiato di nuovo in sosta vietata e la macchina gli viene nuovamente rimossa. a questo punto, mette in atto la sua personale vendetta: mette dell'esplosivo nel bagagliaio e lascia l'auto deliberatamente in sosta vietata; quando viene portata al deposito, fa esplodere la carica, che fortunatamente provoca danni solo alle cose (peraltro pubbliche). l'ultima scena ci mostra l'ingegnere detenuto che riceve la visita della non-tanto-più-ex moglie e della figlia, che gli portano pure una torta, e tenuto in grandi stima e considerazione dai "colleghi" carcerati, compresi certi tipetti che te li raccomando, nonché dall'avvocato che gli aveva comunicato il benservito da parte dell'azienda, mentre in sovrimpressione passano titoli di giornale e tweet dalla rete che inneggiano a "bombetta", diventato una specie di eroe nazionale, con tanto di hashtag #BombettaLiberoSubito.

secondo voi, qualcuno ci ha fatto una bella figura?
"bombetta" antepone il suo orgoglio di automobilista vessato al compleanno della figlia; poi, se la prende con gli impiegati comunali - ultime ruote del carro - e infine, nonostante sia in evidente torto e recidivo, distrugge dolosamente l'autoparco comunale (e verosimilmente anche l'automobile di qualcun altro che non c'entrava niente);
la di lui moglie coglie al balzo l'opportunità di dipingerlo come un violento nullafacente per ottenere un assegno di mantenimento maggiore e l'affidamento esclusivo della figlia;
il potenziale nuovo datore di lavoro preferisce privarsi di un collaboratore capace (lo aveva dimostrato) a causa della cattiva pubblicità che lo precede;
l'autorità (rappresentata dai vigili e impiegati comunali) fanno mostra solo di ottusità e noncuranza verso i cittadini;
l'opinione pubblica... già, qui sta il bello, perché al termine del film, durante il dibattito, si son sentite più voci di fondo che dicevano che, tutto sommato, "bombetta" aveva fatto bene, e lui sì che ci ha messo una bomba, come si meriterebbero certi che so io.

in tutti gli episodi, tranne il primo, c'è un'esplosione sproporzionata di violenza scatenata da risentimento e frustrazione, un cedimento alle umane passioni che rende ciechi portatori di morte e distruzione, dove non esiste più alcun limite etico o di buon senso, ma tutto risulta emendabile in virtù dei torti subiti in passato (o poco prima). ventimila anni di storia dell'umanità non riescono ancora a insegnare che cedere alla passione violenta non è una soluzione ai problemi, ma non solo sono in tanti a preferire questa opzione alla ricerca della giustizia tramite il perseguimento della verità, ma chi mette in pratica i mezzi più sbrigativi viene seguito dall'invidia di molti altri.

e siamo anche arrivati al punto in cui non siamo più nemmeno capaci di riconoscere i nostri difetti, nemmeno quando qualcuno ce li mette davanti agli occhi e ce li dipinge come tali in maniera piuttosto inequivocabile.

forse, nel proiettare il film nelle sale italiane, la distribuzione avrebbe fatto bene a far precedere il film dall'avvertenza: "non è un suggerimento".

p.s.: la locandina italiana dice: "per rispetto delle vicende e dei personaggi si prega di ridere con moderazione". a me pareva che non ce fosse quasi mai un cazzo da ride, ma de gustibus...

venerdì 16 gennaio 2015