venerdì 25 gennaio 2013

e noi a gino s'o 'nculamo

avevo giurato a me stesso di non parlare di politica, almeno per la durata della campagna elettorale, non fosse altro che perché di tutto quello di cui sento parlare (con il mezzo orecchio che dedico alla faccenda) non me ne frega un'emerita cippa e non me ne fregherà mai più de meno, almeno finché non sentirò qualcuno con un serio programma che abbia per obiettivo una redistribuzione della ricchezza: tutto il resto è palesemente fuffa che nasconde interessi di parte.

amen, quindi, almeno finché non mi è arrivata al mezzo orecchio la notizia di oggi. per carità, non è che io caschi improvvisamente dal pero e mi stupisca del fatto che qualcuno progetti canagliate del genere: sono ormai rassegnato al fatto che qualcuno abbia in testa molta più merda di quanta ne cachi e riesca pertanto a contemplare, tra le attività di ritorsione contro un ipotetico nemico, anche la violenza sessuale. perché se riesci a concepire l'idea che sia eccitante (e quindi gradevole) forzare una persona ad un rapporto sessuale indesiderato, e non perché ti piace troppo e non sapresti resistere a un eventuale diniego, ma come forma di punizione per qualcosa che sei - nemmeno per qualcosa che hai fatto - di merda nel cervello devi avercene parecchia. aggiungiamoci l'aggravante del disprezzo razziale e il quadro sarà completo: mi consola solo il fatto che per fortuna, facendo un raffronto con le epoche passate, la tendenza è alla diminuzione del numero di costoro.

dicevo, quindi, non mi stupisco dell'esistenza delle testedicazzo, però non posso fare a meno di notare che personaggi del genere si siano organizzati in un partito e che questo partito abbia anche deciso di presentarsi alle elezioni senza che nessuno ci trovi niente di - perlomeno - strano. ma a quale livello di barbarie e di addormentamento delle coscienze siamo arrivati?










cioè scusate, ma io più ci penso e più il fatto che uno possa concepire una frase come "io a questa [...] me la chiavo e le faccio uscire il sangue dal culo" con la stessa nonchalance (ma con motivazioni molto meno valide) con cui potrebbe dire "e noi a gino lo menamo" mi manda fuori di testa.


martedì 22 gennaio 2013

partire con la carovana

anno domini 1977 o tutt'al più 1978, il mio amico kino - meglio noto come mio fratello - è a casa mia e io non vedo l'ora di fargli ascoltare la mia nuova scoperta in campo musicale. pongo sul piatto il primo disco dei caravan.


lui pende dalle mie labbra, di solito le mie scelte musicali le trova interessanti se non stimolanti, ma stavolta ascolta tipo un minuto e poi fa una faccia tra il deluso e lo schifato e commenta: "leggeri..."

LEGGERI??

vabbè, tralasciamo il fatto che arrivavo con dieci anni di ritardo: nel 1968, quando uscì il disco, avevo otto anni, ho cominciato ad ascoltare musica degna di questo nome verso il 1973 e il compendio su quanto era successo fino ad allora me lo son fatto a rate, come e quando potevo; eravamo, come si disse, nel 1977 o giù di lì e mio fratello ed io eravamo definitivamente ubriachi di pink floyd, king crimson e genesis: certo, paragonato a red, caravan fa una figura un po' povera, ma quello è venuto sei anni più tardi; from genesis to revelation uscirà solo l'anno successivo, e così in the court of the crimson king. e siamo comunque ai primi passi di quello che verrà poi chiamato il prog rock, che in fin dei conti è un cocktail dove all'ingrediente fondamentale che era il rock, ognuno si sentiva autorizzato a mescolare tutto quel che conosceva, dalla classica al jazz ai rumori puri e semplici.

che altro esce nel 1968? electric ladyland (hats off), il doppio bianco (idem) dei beatles, a saucerful of secrets (scusa se è poco), e ne ho scelti tre dei più clamorosi: album fondamentali nella storia della musica, ma tutta roba di gente che perlopiù, quando usa l'accordo di do maggiore, suona do-mi-sol; i caravan usano do-mi-sol-si e all'occorrenza do-mi-sol-si-re, strizzano l'occhio alla bossa nova di joao gilberto, includono rumori psichedelici sentiti anche nei primi pink e testi che boh? che avevate preso, e ce n'è rimasto un po' anche per me?

leggeri. bah.


giovedì 17 gennaio 2013

giornata del dialetto e delle lingue locali

avrò avuto 17 anni, ero a casa della mia ragazza di allora, andavamo a scuola insieme e stavamo facendo i compiti per il giorno dopo. era inverno. guardai fuori dalla finestra e mi accorsi che cominciava a fioccare leggermente. le dissi, in perfetto dialetto: "lvé, nengue!"

- eh?
- nengue. nevica, in perugino.
- macché, mica si dice così.
- e come si dice?
- nevca.
- quella è la versione colta. in campagna si dice nengue.
- naa.
- tagliamo la testa al toro: chiediamo a tua nonna.
- ok, è di là.

- signora, come si dice nevica, in perugino?
- eh... nevca... bufa...
- n se dice anche "nengue"?
- eh, qualche gnorante l dice 'nco.

buona giornata del dialetto a tutti!

martedì 8 gennaio 2013

il post è lungo, leggetelo a rate


le feste son finite, andate in pace: pure l'epifania che, come è noto, tutte le feste si porta via, è passata e quindi potete serenamente disfare l'albero e togliere gli addobbi natalizi, come ho fatto io ieri.

nota: l'operazione in questione mi tiene occupato per circa ottanta secondi della mia vita, in quanto il mio albero di natale è un cazzetto alto 40 cm intorno a cui ho avvolto un filo di led azzurri intermittenti comprato in un negozio di cinesi e disfarlo, in questo caso, significa semplicemente rimetterlo nella sua scatola. non gli tolgo nemmeno le luci. idem dicasi per gli addobbi, che consistono in un serpentello di led arancioni che appoggio a due chiodi posti agli angoli superiori del portoncino di ingresso. faccio questo soltanto per i figli, anzi, più per figlia2, perché pure giacomo mi pare ormai interessato quanto me all'aspetto esteriore delle feste natalizie.

e, nel vedermi compiere questa complessa operazione, il mio amore mi domanda se non mi dispiace un po' riporre quelli che, pur fatta ogni tara che va fatta, restano comunque i simboli di un periodo festoso e dedicato a una ritrovata intimità familiare. e io rispondo serenamente che no, del natale e di tutto quel che significa, m'importa sega: significato religioso, l'avvento del redentore? non sono religioso, tanto meno cristiano; l'unità familiare? una famiglia non ce l'ho più da un pezzo, c'è rimasta solo mia sorella che peraltro anche quest'anno, per le feste, se n'è andata (con la mia benedizione, s'intende) a trovare amici suoi, stavolta in sicilia (venti e passa gradi: rosica, ste'); i figli? li vedo né più né meno che durante il resto dell'anno, né mi vogliono più bene solo per qualche regalo in più; l'aspetto consumistico? sono anni che non ricevo in regalo una sega nulla, a parte il tradizionale cesto da parte della sorella suddetta (peraltro contraccambiato: la tradizione ormai va avanti da anni e non so se si sia accorta che il cesto che le porto ogni anno è il suo dell'anno precedente, riempito con cose diverse); eccetera, eccetera, dove in "eccetera" ci sta, per esempio, che una volta frequentavo un gruppo di amici che poi si sono dispersi per l'italia per motivi di studio o/e lavoro, che si ritrovavano solo a pasqua e a natale, cioè in occasione delle vacanze universitarie, quando tutti tornavano dalle famiglie di origine. ma questo accadeva quasi trent'anni fa e, nel frattempo, di famiglia, ciascuno si è fatta la sua.

e dice, sempre il mio amore: queste però son cose che appartengono a una sfera razionale. la tua pancia, da qualche parte, non soffre di questa interruzione di festosità? a me le lucette piacciono, le tengo in soggiorno tutto l'anno.
"già, ma ti dimentichi di accenderle"
e poi detesto dovermi divertire a comando, la fine d'anno per me non è un pretesto valido, non trovo una ragione sufficiente per fare mattina proprio il primo gennaio, che fuori fa un freddo cane, piuttosto che il venti di luglio (o il dodici, o il sei agosto, o comunque un giorno che scelgo io) che sicuramente si starebbe meglio.

quindi, sicuramente fanculo il natale con tutte le sue lucette e i festoni, gli alberi addobbati e il cenone di capodanno. ma anche ewiwa per tutte le volte che ho ricevuto un regalo azzeccato, o lo era il mio per qualcun altro, che non si dica che son solo un guastafeste.

due regali che ho ricevuto a natale, per esempio, me li ricordo molto bene.

natale 1972, avevo 12 anni. non sapevo cosa aspettarmi come regalo: giocattoli? vestiti? qualcosa di "utile"? mi ricordo che ero molto rilassato, anche se eravamo in dirittura d'arrivo: sarà stato forse il 23 dicembre. curiosamente, quelli che non stavano più nella pelle erano invece i miei. tanto che quella sera, mentre io me ne stavo placido in poltrona a guardare la tv e a pensare agli affari miei, papà mi dice: "vai a guardare in camera nostra, nell'armadio".

vado senza domandare. e che ci sarà mai?
una visione.
è una chitarra. elettrica. oh cazzo, è una chitarra elettrica. vera. solid body. pesante come un'alabarda (axe!), di marca a me sconosciuta, corpo asimmetrico a ricordare vaghissimamente la fender stratocaster, verniciatura sunburst, due pickup ad avvolgimento singolo e che si attivavano con due interruttori a slitta posizionati proprio sotto il pickup alla tastiera, scomodissimi: la cosa più normale che succedeva era che, schitarrando, li spegnevi e rimanevi con la chitarra muta. il manico si avvitava al corpo a un'altezza irragionevole, rendendo irraggiungibili gli ultimi tasti, che comunque credo fossero non più di venti.
ma era la mia chitarra elettrica. nessuno che conoscessi ne aveva una. il ragazzo che abitava al piano di sopra ed era più grande di me aveva un'acustica elettrificata, niente di paragonabile.
e c'era anche l'amplificatore! un davoli j-5 che assommava in tutto 5 watt di potenza, ma per me era il muro di marshall di jimi hendrix a woodstock. anche perché era enorme, sproporzionato rispetto a quel che conteneva - infatti, dentro era vuoto: sarà stato alto 60 cm, ci si poteva sedere sopra come su uno sgabello, con un altoparlante da 8" montato su una tavola che ne avrebbe potuto contenere uno da 15. un ingresso, volume, alti e bassi, un suono brillante come il cielo del temporale, ma era volume, non so se mi spiego.
torno in sala col mio trofeo, lo appoggio da qualche parte, mi getto al collo di papà, sopraffatto dalla gioia. una chitarra elettrica. oh, cazzo, una chitarra elettrica! comincio a suonarla subito, è tardi, disturbi i vicini, abbassa il volume. sì, sì, ma è la mia chitarra elettrica.
per par condicio, i miei danno il regalo di natale in aticipo anche a mia sorella, che se ne era rimasta in disparte, sulla sua poltrona. è una borsa di pelle, nera. bella, ma una borsa. non è una chitarra elettrica. mia sorella ha vent'anni, si è diplomata quell'anno, non sa che cosa farà in futuro. prende la sua borsa, mi pare di ricordare che non fosse nemmeno incartata, mormora un 'eh grazie' con scarsa convinzione. credo che sia contenta per me, ma non riesce a condividere la mia gioia. non fa parte della festa.
dopo, ho capito. per loro, non c'era differenza tra le due: loro vedevano una chitarra e una borsa; io vedevo la concretizzazione di un sogno, e una borsa. invece, per concretizzare davvero quel sogno, ho dovuto aspettare altri anni. molti. e pagarmelo da solo, a rate, col mio stipendio.
non c'erano significati, in quel regalo. per loro era solo un giocattolo tecnologicamente più avanzato, al mio desiderio di fare della musica la mia professione, continuarono a rispondere no, secco, senza appello. un divertimento, sì; un lavoro, no.
la marca di quella chitarra era maya: come quella il cui velo impedisce agli uomini di percepire la verità. e in realtà, questo è stato: un inganno.

diverso è stato il natale del 1978, quando i miei invitarono, loro malgrado (non era mai entrata nelle loro grazie), la mia fidanzatina di allora. arrivò con uno scatolone in mano, un cubo di una trentina di centimetri. me lo porge e mi fa: "la scatola, poi, la rivoglio". vabbè, pensai, le servirà per qualcos'altro. era piuttosto leggera, a dispetto delle dimensioni: non doveva contenere niente di impegnativo. ogni faccia - verosimilmente di cartone - era stata incartata singolarmente con carta di colore diverso anche se, curiosamente, mancava il coperchio, e si vedevano direttamente i trucioli che conteneva. frugo dentro e ci trovo dieci pacchetti di sigarette, messi in ordine sparso, della marca che fumavo allora. oh bè, meglio che niente. però. vero che eravamo studentelli squattrinati, ma mi par di ricordare che io, per il suo regalo, avevo speso qualcosa di più delle seimila lire che aveva speso lei. comunque ho ringraziato, fingendo contentezza.
"posso riprendere la scatola?"
"sissì, eccola"
"scarta qua, scemo" e me la rende. tolgo la carta che ricopriva il "cartone" e compare la copertina di un disco, un lp. e poi un altro, e un altro, e un altro e infine un altro ancora. cinque dischi, di cui uno doppio. purtroppo son passati trentaquattro anni e non mi ricordo tutti i titoli dei dischi: uno era sicuramente songs in the key of life e sono abbastanza sicuro che un altro fosse hejira, due capolavori che ascolto ancora; in ogni caso, li aveva scelti da una lista di desiderata che mi aveva fatto compilare un mesetto prima (scrivimi qua dieci-dodici dischi che compreresti) e che avevo dimenticato - tanto, chi ce li ha i soldi per comprare una dozzina di dischi?

mi piacerebbe che il ricordo di un bel regalo, sentito e azzeccato, riuscisse a offuscare il ricordo dei decenni di regali a cazzodicane, da parte di chicchessia: l'orologio da taschino, il blazer in simil-tartan grigio e blu coi bottoni in metallo, il mandolino-banjo, l'ennesimo maglione... ma no, non ce la posso fare.