a pensarci bene, col senno di poi, la nostra storia era già stata scritta, e anche qualche bell'anno prima che ci conoscessimo, e il dio delle coincidenze, che a quanto pare soffre di qualche discronia, volle che tu ogni tanto mi cantassi proprio il ritornello di questa canzone, anche se lo facevi per il romantico motivo che la prima volta che facemmo l'amore eravamo proprio tra i filari di una vigna.
tra l'altro, son tornato più volte lungo quella strada, cercando il punto in cui quella notte deviammo per i campi, ma non l'ho mai ritrovato.
due mondi, proprio. e chi se lo immaginava, all'epoca, che quella che voleva me, una vita, far l'amore nelle vigne, al primo acquazzone si sarebbe miseramente spenta, lasciando me e la vela della mia mente sgonfia di quel vento che mi pareva di aver trovato?
Sarei una cosa tua amore, gelosia amor di borghesia. Da femmina latina a donna americana non cambia molto... sai?
pre-ci-so. il fatto è che pare che sia naturale scambiare l'entusiasmo degli inizi per una propensione caratteriale. per te era la prima, per me è la seconda: a me non piace semplicemente scopare, come quasi tutti: io adoro la figa, per me è una priorità. c'è differenza.
il post finirebbe pure qua, tutto quel che c'è da dire è già stato ampiamente detto. rimane una considerazione su tutti coloro che si sposano con il coniuge sbagliato. errare fa parte dell'umana natura, dicono, ma si può anche riconoscere l'errore, fare ammenda e riprovare. capisco anche che non tutti son coglioni come il sottoscritto, che reputa che la propria dignità e il perseguimento della felicità secondo i suoi principi valgano ben più della moltiplicazione delle spese causata dalla separazione, però, cazzo, più navigo in questo mare di persone, più ne scopro di cronicamente insoddisfatte e rinunciatarie, salvo cercare di farsi una seconda vita parallela. contenti voi...
se volete, ascoltate la canzone, che brutta non è, anche se molti si domanderanno il motivo della presenza di mara cubeddu, che secondo me non sa cantare. oppure ascoltate quella proposta dopo, che mi è venuta istantaneamente in testa dopo aver scritto il titolo.
Vinca il migliore massimo gramellini
A parte il mondo, cos’altro vorreste che finisse il 21.12.12? Io
qualche idea l’avrei: i cacciaballe, i corruttori, i dispregiatori del
diritto, i terrorizzati dalla morte che frequentano giovinezze
comprabili e mettono fard sulle rughe e capelli arancioni sulla pelata. I
populisti che sanno parlare solo alla pancia e hanno l’impudenza di
chiamarla cuore. Gli omini di burro che fanno la spola fra il Paese dei
gonzi e quello dei balocchi, e se lo spread sale, dicono, chi se ne
importa dello spread. I grilli sparlanti che furono comici e adesso
affermano senza sorridere: sono così democratico ma così democratico che
se qualcuno dei miei ha qualche dubbio in proposito vada pure fuori
dalle palle (oh yeah). Vorrei che finissero anche quelli come me, che
appena i cacciaballe corruttori dispregiatori terrorizzati populisti
ritornano in scena ormai solo come maschere grottesche, gli ringhiano
addosso, accampando la scusa che sono ancora pericolosi mentre sono
soltanto funzionali al desiderio rassicurante di continuare a parlare e a
indignarsi delle stesse cose. Però vorrei che finissero anche quelli
tra di voi che hanno ricominciato a parlare indignandosi di Lui, a
guardare i programmi dove si parla indignandosi di Lui, a cercare gli
articoli dove si parla indignandosi di Lui, salvo indignarsi perché si
parla di nuovo troppo di Lui.
Insomma, vorrei che il 21.12.12 Monti entrasse in politica e sfidasse
Bersani, centrodestra europeo contro centrosinistra europeo, una
campagna elettorale di progetti e non di insulti dove per una volta alla
fine si potesse votare il migliore e non come sempre il meno peggio.
ecco, manfatti. non ha fatto in tempo il nano a dire che sarebbe tornato più bello (?) e più superbo (?) che prìa che tutti si sono affannati a starnazzare: "ecco, torna il nano! mamma li turchi!! stracciatevi le vesti!!!" e giù, un profluvio di articoli di giornale e prime pagine, cartacee e online, e trafiletti con tutte le varie nefandezze che ha compiuto negli anni precedenti, e le foto con la "fidanzata" e giù a sottolineare che ha 50 anni meno di lui...
ma mi domando; tutto questo dovrebbe servire a...? dissuadere gli italiani dal votarlo...?
...ma la volete capire che lo sanno benissimo chi è e che anzi lo votano proprio per quello?
mi è capitato ieri sera di vedere in tv le ricamatrici, un film francese del 2004 di eléonore faucher. a memoria mia, non mi pare di ricordare che abbia avuto una distribuzione proprio proprio capillare, nelle sale italiane, tant'è che su youtube non ne ho trovato nemmeno il trailer in italiano, ed è un vero peccato perché è un film godibilissimo, sottile eppure molto puntuale.
il critico di mymovies dice: Perché i francesi riescono a girare film che gli italiani non realizzerebbero nemmeno sotto tortura? e mi pare una domanda più che legittima, perché è da un bel pezzo che non si vede (io, almeno, ma ammetto che ultimamente sono un po' distratto) un film italiano del genere. se penso a qualcosa di vagamente (molto vagamente) simile, mi viene in mente anche libero va bene, il film d'esordio alla regia di kim rossi stuart, oppure cosa voglio di più di soldini. sì, lo so che non c'entrano un cazzo, la similitudine che cercavo stava nella collocazione sociale dei protagonisti delle storie raccontate e, con un po' di buona volontà, quasi quasi ci siamo. ma comunque sembra che i registi italiani si vergognino di raccontare le storie della cosiddetta gente comune, quella che fa un lavoro qualsiasi o che magari un lavoro non ce l'ha proprio, ma non per questo è così arida da non avere sentimenti degni di essere raccontati. magari, se non ha un'istruzione adeguata, non riuscirà a trovare le parole per descrivere i propri stati d'animo, ma ciò non significa che non ne abbia - ed è qui che servono le immagini (vedi, amore mio, il post di tazio sulla comunicazione), e bravi attori che sappiano interpretare contemporaneamente uno stato d'animo e l'impossibilità di comunicarlo all'esterno.
le ricamatrici racconta quella che guccini chiamava una piccola storia ignobile: una ragazza di campagna, commessa di supermercato, rimane incinta del suo amante occasionale, se ne accorge quando è troppo tardi per abortire, non sa che fare del bambino e cerca di tenere nascosta la gravidanza alla famiglia e in genere a chi non le è amico. trova comprensione e albergo presso una donna che la dà da lavorare come ricamatrice, a cui è morto il figlio. entrambe trovano nel loro rapporto una motivazione sufficiente per riprendere il filo della speranza. già negli anni '70 una storia del genere non valeva due colonne su un giornale, come appuntava il sunnominato, figuriamoci se oggi potrebbe valere un film. per la faucher, sì; per i registi italiani invece, a quanto pare, serve sempre, comunque, qualcosa di estremo: come minimo la ragazza deve essere bipolare, o deve essere stata stuprata, o il padre è affiliato alla camorra degli scissionisti, o la madre di lei muore travolta da un'auto guidata da un imprenditore ubriaco che però addossa la colpa al solito extracomunitario e il padre, distrutto dal dal dolore, sperpera tutto il patrimonio in videopoker, prima di essere redento da una prostituta ex tossica la quale, però, si scoprirà, era nata da una relazione del padre della moglie morta (in sostanza, del suocero di lui) con una ballerina e quindi in sostanza sta con la sorellastra della moglie morta... fermi un attimo. dove eravamo? a una ragazza incinta e ai suoi problemi. che son semplici, se visti nell'ottica delle dinamiche tra stato e stato, ma per lei sono enormi, e se li deve smazzare perlopiù da sola.
il cinema italiano è scollato dalla gente comune, non riesce a raccontarla, non la conosce, probabilmente se ne vergogna un po'. se racconta la storia di qualche sfigato, è per raccontarne i tentativi di riscatto e sicuramente lo sfigato sogna in grande ma, sotto sotto, il regista gode nel raccontarne i fallimenti. o lo riduce a macchietta, tipo scialla. eppure, il neorealismo lo abbiamo inventato noi nel dopoguerra, per contrasto con un cinema di maniera che raccontava solo le liete storie delle élites, il famoso cinema dei telefoni bianchi. il regime fascista negava dolosamente l'esistenza di problemi di qualsivoglia natura tra la popolazione, e siccome il cinema era un grande strumento di propaganda, nessun film che parlasse di disoccupazione, di fame, di povertà sarebbe stato tollerato. oggi mi pare di assistere a una nuova forma di elitismo, quello della complessità: se una storia non è sufficientemente complessa, nella trama o nell'impalcatura psicologica dei personaggi e delle loro interazioni, un regista italiano non è interessato a raccontarla. eppure, a quanto pare, è possibile raccontare di sentimenti senza diventare sentimentali, di parlare di gente comune trattando con rispetto loro e i loro piccoli, quotidiani problemi.
come al solito, in tanti si riempiono la bocca con laggente, ma cosa faccia davvero e soprattutto cosa pensi questa ggente, ormai non interessa più a nessuno, se non quando deve andare a votare o a comprare.
finiamo con una canzone che sta brevemente nella colonna sonora del film e che hanno malamente tagliato, ieri sera, insieme ai titoli di coda. anche quella parla di cose semplici.
stamattina, accendo lo stereo in macchina e il cd riprende da dove lo avevo lasciato:
Get it, get it, hold it, need it, want it,
Get it, need it, want it, hold it,
Get it, squeeze it, love it, touch it,
Use it, need it, want it, get it,
Need it, want it, hold it...
Don't you turn your back on love
poco dopo, do uno sguardo a cosa c'è di nuovo e gramellini mi ammonisce nello stesso senso. e io ho pensato: mh (questa la capiamo solo io e te). ma ce l'hai con me? ma stai parlando con me? no, perché io non ho mai mandato sprecato niente, anzi: se c'è qualcosa di cui sono sempre, continuamente andato in cerca anche quando altri, al posto mio, si sarebbero fermati, sazi e satolli, sono proprio quegli atti di amore disinteressati e puri di cui parla l'ottimo gram. e le spalle all'amore non le ho girate mai, tranne quando la storia era manifestamente finita, o l'offerta che mi veniva fatta era troppo dissimile dalle mie aspirazioni.
caro dio delle coincidenze, stavolta hai sbagliato bersaglio.