lo dico subito: boyhood è un film monumentale, e con questo mi unisco alla nutrita schiera dei suoi elogiatori: non andare a vederlo sarebbe solo un errore.
protagonista vero e unico di quasi tre ore di proiezione è il tempo, e con lui le modificazioni che avvengono interiormente ed esteriormente nelle persone. la crescita di mason ne è l'esempio più evidente, ma tutti indistintamente subiscono l'avanzare del tempo e le modificazioni che lentamente ma inesorabilmente accadono.
tutto quello che, in duecento altri film che abbiamo visto, sarebbe stato un pretesto per uno "scatto" in avanti o indietro del protagonista, la scintilla che gli cambia la vita, qui è in sottofondo, uno dei tanti eventi che la vita ti pone davanti nel tuo cammino. trovo geniale, per esempio, l'intuizione di linklater di aver inserito oggetti tecnologici in ogni fase della narrazione, come se avesse saputo dall'inizio "come andava a finire", cioè che la tecnologia, specialmente quella applicata alla comunicazione, sarebbe andata a costituire parte integrante della vita di molti, e questo non avviene in maniera puntiforme, non esiste un prima e un dopo, tutto è un lungo durante che non ha un inizio né una fine, perché noi diveniamo ciò che siamo giorno per giorno, in una lenta costruzione di episodi in apparenza insignificanti.
questo film è l'esemplificazione estrema di quel che diceva john lennon: "la vita è quel che ti succede mentre fai programmi". tutti quelli che nel film credono nelle regole immutabili e che cercano di imporle sono destinati a fallire, mentre meglio riesce chi sa adattarsi al mutare delle condizioni, magari anche rivedendo al ribasso le proprie aspettative, o cambiando punto di vista sulle cose in maniera anche radicale. come dice la ragazza nel dialogo finale: sai quando qualcuno ti dice "cogli l'attimo"? non lo so, io invece credo che succeda il contrario: nel senso che è l'attimo che coglie noi. e con queste semplici parole viene ribaltato tutto un sistema basato sulla rigida programmazione, sulle regole da seguire per il successo. chi si aspetta qualcosa dalla vita, come una sorta di ricompensa per quel che si è fatto e costruito, può solo constatare - anche con amarezza - che non esiste niente di tutto questo, anche se non è esattamente vero che, una volta che tuo figlio se ne va via da casa, "non rimane che morire". non puoi fare affidamento su quel che pensi sarà il tuo futuro, perché è il concetto di futuro che è ingannevole di per sé: tutto ciò che esiste è qui ed ora. e linklater lo dimostra con un qui ed ora lungo dodici anni.
qualcuno, in una critica non ricordo dove, ha lamentato che nel film "non succedesse niente". è vero, in questo senso è un film molto poco hollywoodiano: quando il patrigno (uno dei) di mason si lancia in un sorpasso azzardato in preda all'alcool, l'auto non sbanda, non decolla sfruttando il parafango di un'altra parcheggiata e poi non esplode in volo, che è esattamente ciò che il più delle volte (fortunatamente) accade nella vita reale: a pochi sfortunati capita di pagare direttamente per le cazzate che fanno, più spesso un bello spavento è tutto quel che se ne ricava. più volte durante il film mi è venuto in mente il monologo finale di the big kahuna (e credo proprio che linklater lo avesse in mente anche lui): molti grandi sistemi di pensiero, ivi incluse le religioni, che pretendono di insegnarti come si sta al mondo attraverso precetti e divieti imposti a suon di dogmi sono tanto meno efficaci di poche, semplici istruzioni per l'uso, tipo: "non dimenticarti il filo interdentale".
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