forse i greci (quelli antichi) non avevano tutti i torti col loro concetto di kalòs kai agathòs. o forse avrebbero dovuto appena aggiustare il tiro, rovesciando il concetto, che mò in greco non saprei tradurre, ma in italiano suonerebbe: se sei brutto, sei pure stronzo.
me ne stavo placido al mare coi miei bambini, giocando a quei giochi che ogni genitore di buon senso fa con i propri bambini, tipo seppellirli in una buca in riva al mare e tirar loro secchiate d'acqua, quando arrivano due bambinetti brutti e panzoni (fotocopia dei genitori, peraltro) che vorrebbero partecipare al gioco pure loro. e perché no. solo che invece che tirare un po' d'acqua, uno dei due prende una manciata di sabbia e la tira in faccia alla mia figlioletta che, seppellita fino alle spalle, non può nemmeno alzare una mano in tempo per ripararsi.
niente di che, come si dice: son ragazzi. però son ragazzi maleducati, e io sono un nostalgico della vecchia scuola: colpirne uno per educarne cento.
ora, per apprezzare in pieno il portato del gesto che vado a descrivere, dovete sapere che io sono uno che alza la voce solo se ce lo tirano per le orecchie. ma mi ci devi tirare forte, eh.
bè, ho preso il bambinetto brutto e panzone che aveva fatto piangere la mia cucciola, l'ho sollevato di peso e, sic et simpliciter, l'ho lanciato un metro più in là. e seraficamente ho aggiunto: "va' a giocare da un'altra parte", esortazione che il piccolo ha pensato bene di accogliere.
e che cazzo.
postilla del dopopranzo (strano, uno dovrebbe essere meno lucido), quando mi son ricordato che c'era un seguito: dopo aver convinto il bambino brutto e panzone ad andarsene a giocare altrove, i cuccioli ed io ci siamo presi un bagno. i due pestiferi ne hanno approfittato per appropriarsi della buca appena scavata.
"oh matilde guarda: il bambino panzone s'è messo nella tua buca"
"tanto c'avevo pisciato"
due a zero.
lunedì 31 agosto 2009
venerdì 28 agosto 2009
no, dico
no, dico, ma l'avete mai ascoltato sul serio?
it's never over
my kingdom for a kiss upon her shoulder
it's never over
all my riches for her smiles when I slept so soft against her
it's never over
all my blood for the sweetness of her laughter
it's never over
she's the tear that hangs inside my soul forever
chiunque altro non sarebbe stato credibile.
jeff, sì.
tutte le altre mie considerazioni, stavolta le lascio da parte.
it's never over
my kingdom for a kiss upon her shoulder
it's never over
all my riches for her smiles when I slept so soft against her
it's never over
all my blood for the sweetness of her laughter
it's never over
she's the tear that hangs inside my soul forever
chiunque altro non sarebbe stato credibile.
jeff, sì.
tutte le altre mie considerazioni, stavolta le lascio da parte.
lunedì 24 agosto 2009
come rubare caramelle a un bambino
qualcuno ha detto che so scrivere. non è vero, ma ringrazio lo stesso. il fatto è che scrivo di musica, e quasi solo di capolavori: in quei casi non è difficile scrivere qualcosa di buono, basta ascoltare e metter giù quattro parole che descrivano l'emozione dell'ascolto, non c'è niente di eccezionale in questo. io per esempio sono grato a chi mi spiega - comunicandomi le sue emozioni - l'arte figurativa, perché da solo non riesco ad andare al di là della superficie. comprendere l'importanza, la bellezza, il significato di un quadro non farà di me un esperto d'arte, e probabilmente non mi insegnerà nemmeno ad apprezzarla più di quanto facessi prima, ma perlomeno avrò capito qualcosa in più: soprattutto a distinguere cosa fa la differenza tra un'opera d'arte e la spazzatura. più difficile, enormemente più difficile è creare qualcosa che susciti un'emozione e che consenta a un mentecatto qualsiasi di scrivere qualcosa che faccia rimbalzare quell'emozione verso chi non l'aveva captata al primo ascolto/sguardo/lettura.
oggi, sempre per esempio, avrei voluto scrivere qualcosa su boogie woogie waltz, una cosuccia scritta dal compianto joe zawinul una trentacinquina di anni fa. è un pezzo in apparenza monotono, fisso com'è sullo stesso ritmo e, per la maggior parte del tempo, sullo stesso centro tonale; per massima pigrizia, inoltre, è praticamente suonato tutto sui tasti neri (scala pentatonica di mi bemolle minore, sei diesis in chiave). solo che in mano a cinque maestri diventa un capolavoro di dinamismo. però non mi sento molto in forma, e forse ne scriverò un'altra volta. per oggi accontentatevi della trascrizione della frase ripetuta ossessivamente nel finale.
ci sarebbe anche da notare che quasi tutti quelli di cui scrivo sono morti, ma magari un'altra volta ancora.
martedì 18 agosto 2009
l'aria a lolantonis (mi) sapeva di capra
sorprende sempre, del greco, l'utilizzo di parole per definire cose di tutti i giorni che invece noi usiamo per qualcosa di più astratto e/o ponderoso: l'uscita per esempio è exodos, la fermata dell'autobus è stasi, e via così. ma le due più belle secondo me sono i trasporti (metaforès) e le persone (atomi); quest'ultima, a ben pensarci, ha una sua pregnanza, essendo atomo la particella elementare e indivisibile (= ciò che non può essere scisso).
bene il resto, per esempio la moussaka e il kirinò souvlaki, e tutto sommato anche l'avventura di ritrovarsi a frittole con uno scuterino 125 su una strada di montagna, presa nella convinzione di risparmiar tempo, che diventa solo ciottoli e senza più alcuna indicazione su dove sei e dove stai andando, e l'unica certezza è la poiana che spicca il volo davanti a te, disturbata dal tuo arrivo. e anche il meltemi, ci bestemmi contro quando tira forte, ma poi, quando cala, lo ricerchi.
resta, al massimo, lo stupore di non riuscire a trovare un/a greco/a di aspetto decente al di sopra dei trent'anni.
bene il resto, per esempio la moussaka e il kirinò souvlaki, e tutto sommato anche l'avventura di ritrovarsi a frittole con uno scuterino 125 su una strada di montagna, presa nella convinzione di risparmiar tempo, che diventa solo ciottoli e senza più alcuna indicazione su dove sei e dove stai andando, e l'unica certezza è la poiana che spicca il volo davanti a te, disturbata dal tuo arrivo. e anche il meltemi, ci bestemmi contro quando tira forte, ma poi, quando cala, lo ricerchi.
resta, al massimo, lo stupore di non riuscire a trovare un/a greco/a di aspetto decente al di sopra dei trent'anni.
lunedì 3 agosto 2009
buone notizie
(bè, ogni tanto ci vogliono).
Siempre que te pregunto
que cuando, como y donde
tu siempre me respondes
Quizas, Quizas, Quizas
avevo visto giovanni guidi in concerto quattro o cinque anni fa, in un quintetto guidato da enrico rava alla tromba: guidi faceva parte dei giovani talenti scoperti dal maestro e che lui promuoveva con una serie di concerti in giro per l'italia. l'occasione fu poi particolarmente gioiosa perché il quintetto si esibì a foligno, città natale dello stesso guidi.
per fare impressione, me ne fece sicuramente, e non solo per la sua tecnica: arrivò sul palco e prima ancora - anzi, invece - di salutare il pubblico, si sedette al piano e cominciò a suonare per i cazzi suoi. e anche durante il concerto ebbe più di un atteggiamento che faceva dubitare della totale sua salute mentale, tipo quando, nel bel mezzo di un brano, si alzò dal piano e ne fece il giro completo prima di sedersi di nuovo. va detto che il batterista faceva degnamente coppia con lui, avendo anche lui diversi atteggiamenti della più varia natura verso il suo strumento - pareva sempre che stesse conducendo una lotta epica contro la batteria. gli amici ed io pensammo, boh, saranno bravi, ma certo sembrano un po' degli idiots savants, tant'è che ci facemmo anche qualche battuta, del tipo: andiamo a salutare rava: gli diciamo: complimenti maestro, ottimo concerto e ottima scelta per quel che riguarda il gruppo... però ogni tanto li porti anche un po' a troie...
non lo so se da allora a adesso guidi a troie ci sia andato o no, quel che so è che il disco che ho ascoltato ieri e che da ieri rimane pervicacemente attaccato al mio lettore cd in auto è una delle cose migliori che io abbia ascoltato quest'anno. the house behind this one è un disco come raramente se ne fanno, intenso, bello e ben suonato, con tutti gli interpreti che attraversano un evidente stato di grazia. ma in particolare vorrei soffermarmi sulla title track e su quella successiva.
the house behind this one suona un po' come un inno: è solenne e lenta, e guidi padroneggia il registro medio basso del pianoforte con la perizia di un musicista molto più adulto e con molto più mestiere di lui, resistendo alla tentazione di protagonismo per piegarsi alle esigenze dinamiche del brano. il crescendo è drammatico e costante, e la musica ti porta via con sé in più di un momento, la fine del brano arriva troppo presto, sarei stato ad ascoltare quelle note per un altro quarto d'ora.
il pezzo successivo è la cover di quizas quizas quizas, e mi ha sinceramente stupito. guidi dice di aver apprezzato quel pezzo nelle colonne sonore di la mala educaciòn e di in the mood for love, e di averlo trovato perfetto per il clima dell'album. talmente perfetto che lo ha stravolto, ma stravolto magnificamente. lo ha rallentato talmente tanto da far pensare all'intuizione di oliver sacks davanti ai superstiti dell'epidemia di encefalite letargica: e se fosse un parkinson talmente accelerato da sembrare immobile? ecco, la versione di guidi sembra immobile, tanto è rallentata. e spogliata di ogni tentazione danzereccia, il pezzo assume la solennità (ancora) di una marcia funebre, di quelle che si suonavano ai funerali dei jazzmen a new orleans. il passaggio in maggiore del ritornello altro non fa che sottolineare la drammaticità della musica della strofa. un piccolo capolavoro. e il resto del disco è all'altezza di questi due pezzi, se non a un livello superiore, come nell'interpretazione del brano di ornette coleman peace warriors, o nella disinvoltura con cui guidi affronta la cover di un pezzo di un dj inglese. puristi, tappatevi pure il naso. io preferisco aprire bene le orecchie.
Siempre que te pregunto
que cuando, como y donde
tu siempre me respondes
Quizas, Quizas, Quizas
avevo visto giovanni guidi in concerto quattro o cinque anni fa, in un quintetto guidato da enrico rava alla tromba: guidi faceva parte dei giovani talenti scoperti dal maestro e che lui promuoveva con una serie di concerti in giro per l'italia. l'occasione fu poi particolarmente gioiosa perché il quintetto si esibì a foligno, città natale dello stesso guidi.
per fare impressione, me ne fece sicuramente, e non solo per la sua tecnica: arrivò sul palco e prima ancora - anzi, invece - di salutare il pubblico, si sedette al piano e cominciò a suonare per i cazzi suoi. e anche durante il concerto ebbe più di un atteggiamento che faceva dubitare della totale sua salute mentale, tipo quando, nel bel mezzo di un brano, si alzò dal piano e ne fece il giro completo prima di sedersi di nuovo. va detto che il batterista faceva degnamente coppia con lui, avendo anche lui diversi atteggiamenti della più varia natura verso il suo strumento - pareva sempre che stesse conducendo una lotta epica contro la batteria. gli amici ed io pensammo, boh, saranno bravi, ma certo sembrano un po' degli idiots savants, tant'è che ci facemmo anche qualche battuta, del tipo: andiamo a salutare rava: gli diciamo: complimenti maestro, ottimo concerto e ottima scelta per quel che riguarda il gruppo... però ogni tanto li porti anche un po' a troie...
non lo so se da allora a adesso guidi a troie ci sia andato o no, quel che so è che il disco che ho ascoltato ieri e che da ieri rimane pervicacemente attaccato al mio lettore cd in auto è una delle cose migliori che io abbia ascoltato quest'anno. the house behind this one è un disco come raramente se ne fanno, intenso, bello e ben suonato, con tutti gli interpreti che attraversano un evidente stato di grazia. ma in particolare vorrei soffermarmi sulla title track e su quella successiva.
the house behind this one suona un po' come un inno: è solenne e lenta, e guidi padroneggia il registro medio basso del pianoforte con la perizia di un musicista molto più adulto e con molto più mestiere di lui, resistendo alla tentazione di protagonismo per piegarsi alle esigenze dinamiche del brano. il crescendo è drammatico e costante, e la musica ti porta via con sé in più di un momento, la fine del brano arriva troppo presto, sarei stato ad ascoltare quelle note per un altro quarto d'ora.
il pezzo successivo è la cover di quizas quizas quizas, e mi ha sinceramente stupito. guidi dice di aver apprezzato quel pezzo nelle colonne sonore di la mala educaciòn e di in the mood for love, e di averlo trovato perfetto per il clima dell'album. talmente perfetto che lo ha stravolto, ma stravolto magnificamente. lo ha rallentato talmente tanto da far pensare all'intuizione di oliver sacks davanti ai superstiti dell'epidemia di encefalite letargica: e se fosse un parkinson talmente accelerato da sembrare immobile? ecco, la versione di guidi sembra immobile, tanto è rallentata. e spogliata di ogni tentazione danzereccia, il pezzo assume la solennità (ancora) di una marcia funebre, di quelle che si suonavano ai funerali dei jazzmen a new orleans. il passaggio in maggiore del ritornello altro non fa che sottolineare la drammaticità della musica della strofa. un piccolo capolavoro. e il resto del disco è all'altezza di questi due pezzi, se non a un livello superiore, come nell'interpretazione del brano di ornette coleman peace warriors, o nella disinvoltura con cui guidi affronta la cover di un pezzo di un dj inglese. puristi, tappatevi pure il naso. io preferisco aprire bene le orecchie.
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