venerdì 21 ottobre 2011

qualcosa ha disturbato anche me, e so cosa

lo dirò, lo sto dicendo, l'ho detto: this must be the place mi ha deluso. sono andato a vederlo fidandomi del nome del regista (avevo visto il divo), di sean penn e del trailer che avevo visto al cinema, ma evidentemente le mie aspettative erano sproporzionate rispetto a quel che poi è stato in realtà il film, vale a dire la classica americanata: si parte bene con la descrizione di personaggi cazzuti, si prosegue male col solito film on the road alla riscoperta di sé tramite il recupero delle proprie radici e si finisce in maniera pessima col lieto fine con tutti che sorridono pacificati pure al cospetto delle proprie sfighe.

io non so se è l'aria di hollywood che fa male ai registi italiani che vanno a fare film in america, o se è il delirio di onnipotenza che ti prende quando hai da spendere soldi veri per fare il tuo film, ma a questo punto vien da domandarsi se la grandezza di tanti registi altro non sia se non la frustrazione di non poter fare ogni volta un bel polpettone hollywoodiano con tanto di happy ending.

una cosa del tipo: prendete un poeta depresso e ribelle, che ha composto poesie incazzosamente sublimi sulla sua condizione di eterno incazzato, e dategli un mucchio di soldi e divertimento a portata di mano: diventerà una pippa mortale. io la chiamo sindrome da paradiso. dai, diciamocelo: della divina commedia, l'unica parte che veramente è gustoso leggere è l'inferno. tutti quei dannati, le penitenze eterne fantasiosissime, l'incazzatura di dante contro i corrotti del suo tempo... via via che si sale e si va verso la gloria di dio, ti scende il latte alle ginocchia, è la solita lagna di angeli e cherubini che suonano l'arpa. e che due palle! pare che l'unica condizione creativa sia l'insoddisfazione.

da salvare solo sean penn - ma tanto riesce a essere nella parte pure se non dice quasi nulla, vedi the tree of life, e al film ascrivo anche il merito di avermi inchiodato stabilmente in testa il motivetto della deliziosa canzone da cui il film prende il titolo e che viene riproposta qua e là in una dozzina circa di versioni differenti. c'è anche questa, con david byrne nella parte di se stesso e tutti i musicisti vestiti di bianco:

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