domenica si è chiusa la nona edizione di musica per i borghi: la piazza di marsciano non è esattamente quel che si dice un bel borgo medievale come ne abbiamo tanti in umbria, ma difficilmente una piazzetta avrebbe potuto contenere la folla che era venuta ad assistere al concerto della pfm - anche perché si esibiva insieme a un'orchestra di 40 elementi diretta dal m.o beppe vessicchio, che è anche direttore artistico del festival (massimo rispetto a lui).
colgo l'occasione per dire che il mio amico non capisce un cazzo: pur essendo un grande fan della pfm, avendo saputo che nella stessa serata si sarebbero esibiti anche roberto vecchioni ed emma marrone, ha preferito restare a casa a guardare la moto gp. e peggio per lui, perché è stato davvero un bel concertone, con la pfm ben supportata da un'orchestra ottimamente arrangiata e diretta e gli interventi di vecchioni e marrone ridotti al minimo: il professore ha cantato tre canzoni tre: samarcanda insieme alla pfm, luci a san siro a metà con la marrone e inevitabilmente chiamami ancora amore. idem la marrone, che ha cantato due canzoni sue che preferisco continuare a ignorare, la predetta luci a san siro e, purtroppo, impressioni di settembre con la premiata.
dico purtroppo perché - e non vorrei essere accusato di sparare sulla croce rossa - sono stato completamente d'accordo col tizio che, al termine della canzone, le ha gridato dalla folla: "hai rovinato un capolavoro": in effetti, la marrone (nomen omen) ha continuamente letto il testo e ha pure sbagliato a cantare, con mussida che cercava di farla tornare nei ranghi. né si è comportata meglio con il duetto insieme a vecchioni: anche là ha letto il testo e non è che l'interpretazione sia stata proprio memorabile. anzi, direi proprio che se la scordamo. insomma, la classica marchetta fatta per accontentare i discografici che investono ancora nei talent show, approfittando della generale ignoranza del pubblico. in realtà la marrone non ha voce né personalità: ascoltandola, si colgono qua e là reminiscenze di cantanti vere, che vanno da loredana bertè ad anastacia prima maniera, e che comunque avevano già trovato la strada spianata dalle grandi del passato. insomma, una copia di una copia, e venuta nemmeno tanto bene. archiviamo la marrone.
grande successo invece per il rimanente 90% del concerto, con una pfm in formissima ed entusiasta che ha proposto perlopiù brani del periodo "inglese" che meglio si prestano all'arrangiamento orchestrale, ma che non ha mancato di proporre classiconi del gruppo come impressioni (ahia), la carrozza di hans e è festa.
purtroppo posso proporre solo tre contributi filmati col telefonino, di cui mi scuso per la pessima qualità, soprattutto audio. ma vi assicuro che la musica era di qualità infinitamente superiore.
martedì 26 luglio 2011
venerdì 22 luglio 2011
son ragazzi
ore 10:20, scendo al bar della mensa, per umiliarmi per l'ennesima volta con una pizzetta degna di qualche favela di rio - ma scommetto che da qualche parte mangiano meglio di così. la barista sta parlando al cellulare col figlio. impartisce ordini, fornisce direttive sulle faccende da sbrigare in casa e fuori; intuisco che riceva risposte poco entusiastiche, se non impertinenti: il tono diviene perentorio. mentre ascolta una risposta, col cellulare tenuto tra spalla e orecchio, mi domanda cosa voglio: indico la pizzetta quella lì. me la dà e prosegue la sua conversazione. finalmente lo saluta e mi domanda cosa voglio da bere (meno male, un altro boccone e ci sarebbe stato bisogno del signor heimlich in persona).
"quanti anni ha?"
"undici"
"la mia ex moglie, al mio, fa gli stessi discorsi, con lo stesso tono. ha iniziato la scuola media?"
"l'anno scorso, sì. quando era più piccolo non era mica così, sai? è diventato così adesso"
"ma vààà?"
preadolescenti ribelli, insofferenti all'autorità. penso a te. cerco - tra me e me - di fare lo psicologo della mutua: finita la scuola elementare, ti senti come se avessi superato una prova iniziatica. il solo fatto che non ti sia più imposto di indossare il grembiule ti suggerisce che stai diventando grande, perché solo i bambini indossano il grembiule. mi ricordo che alla fine della quinta elementare avevo fatto un disegno sul diario che raffigurava l'odiato grembiule crivellato di buchi di proiettile, con una bella croce nera sopra.
e se uno è grande, non accetta imposizioni e obblighi, e se lo fa, lo fa malvolentieri.
errore. se uno è grande, si dà una disciplina e cerca un equilibrio tra obblighi, imposizioni e piaceri. tu, grande non lo sei ancora, ma lo stai diventando: quel che sarai da adulto, sarà il risultato di tre forze che tirano in direzioni differenti. tre, non due: non soltanto l'aspirazione umana alla totale libertà che va in direzione dell'amoralità - ma anche della solitudine - e la repressione operata su di essa da un'autorità genitoriale, ma anche un esempio possibile di equilibrio a cui poterti ispirare: quello che a tanti di noi è mancato, e che siamo dovuti andare a cercare al di fuori della famiglia - e fortunato chi lo ha trovato.
ieri sera parlavo di te con la mia amica; a quanto pare, il tuo è un comportamento piuttosto comune, non c'è da stupirsene come invece fa tua madre, e in risposta a ciò non trova di meglio da fare che aggiungere imposizioni, minacciare ritorsioni e tutt'al più ricattarti moralmente. in questo comportamento cerca la mia complicità, ma trova silenzio. non la sconfesso pubblicamente (la sua è pur sempre un'autorità), ma non sono d'accordo sul metodo.
io parlo con te come a un adulto, cercando accuratamente di non proiettare su di te le mie aspirazioni frustrate; ti spiego che quello dell'istruzione scolastica è solo una delle prospettive possibili che la vita ti offre, benché fondamentale e sicuramente utile (la conoscenza è un'arma!), ma anche che nel caso tu voglia perseguire la tua personale via, questa non potrà prescindere da impegno e disciplina. ma soprattutto ti dico che la vita è vastissima e offre opportunità della più varia specie, e che solo se rappresenti un'eccellenza assoluta nel tuo campo puoi pensare che un impegno in un'unica direzione ti sarà sufficiente per tutta la vita (questo pensiero è scaturito anche dalla visione, ieri sera, de il cigno nero). ciascuno di noi quindi troverà - se fortunato, o se l'avrà perseguito con metodo - il suo equilibrio nello sperimentare tutte le cose che piacciono, e nel contempo nell'adempiere a ciò che è necessario fare per vivere facendo un lavoro che ci appassioni.
perché non è mai troppo presto per pensare al proprio futuro. anche se, detto da uno che a 51 anni non sa ancora cosa farà da grande, non suona così bene :-D
"quanti anni ha?"
"undici"
"la mia ex moglie, al mio, fa gli stessi discorsi, con lo stesso tono. ha iniziato la scuola media?"
"l'anno scorso, sì. quando era più piccolo non era mica così, sai? è diventato così adesso"
"ma vààà?"
preadolescenti ribelli, insofferenti all'autorità. penso a te. cerco - tra me e me - di fare lo psicologo della mutua: finita la scuola elementare, ti senti come se avessi superato una prova iniziatica. il solo fatto che non ti sia più imposto di indossare il grembiule ti suggerisce che stai diventando grande, perché solo i bambini indossano il grembiule. mi ricordo che alla fine della quinta elementare avevo fatto un disegno sul diario che raffigurava l'odiato grembiule crivellato di buchi di proiettile, con una bella croce nera sopra.
e se uno è grande, non accetta imposizioni e obblighi, e se lo fa, lo fa malvolentieri.
errore. se uno è grande, si dà una disciplina e cerca un equilibrio tra obblighi, imposizioni e piaceri. tu, grande non lo sei ancora, ma lo stai diventando: quel che sarai da adulto, sarà il risultato di tre forze che tirano in direzioni differenti. tre, non due: non soltanto l'aspirazione umana alla totale libertà che va in direzione dell'amoralità - ma anche della solitudine - e la repressione operata su di essa da un'autorità genitoriale, ma anche un esempio possibile di equilibrio a cui poterti ispirare: quello che a tanti di noi è mancato, e che siamo dovuti andare a cercare al di fuori della famiglia - e fortunato chi lo ha trovato.
ieri sera parlavo di te con la mia amica; a quanto pare, il tuo è un comportamento piuttosto comune, non c'è da stupirsene come invece fa tua madre, e in risposta a ciò non trova di meglio da fare che aggiungere imposizioni, minacciare ritorsioni e tutt'al più ricattarti moralmente. in questo comportamento cerca la mia complicità, ma trova silenzio. non la sconfesso pubblicamente (la sua è pur sempre un'autorità), ma non sono d'accordo sul metodo.
io parlo con te come a un adulto, cercando accuratamente di non proiettare su di te le mie aspirazioni frustrate; ti spiego che quello dell'istruzione scolastica è solo una delle prospettive possibili che la vita ti offre, benché fondamentale e sicuramente utile (la conoscenza è un'arma!), ma anche che nel caso tu voglia perseguire la tua personale via, questa non potrà prescindere da impegno e disciplina. ma soprattutto ti dico che la vita è vastissima e offre opportunità della più varia specie, e che solo se rappresenti un'eccellenza assoluta nel tuo campo puoi pensare che un impegno in un'unica direzione ti sarà sufficiente per tutta la vita (questo pensiero è scaturito anche dalla visione, ieri sera, de il cigno nero). ciascuno di noi quindi troverà - se fortunato, o se l'avrà perseguito con metodo - il suo equilibrio nello sperimentare tutte le cose che piacciono, e nel contempo nell'adempiere a ciò che è necessario fare per vivere facendo un lavoro che ci appassioni.
perché non è mai troppo presto per pensare al proprio futuro. anche se, detto da uno che a 51 anni non sa ancora cosa farà da grande, non suona così bene :-D
lunedì 18 luglio 2011
abitudini dure a morire
cinque minuti di pausa, sorseggio un caffè nel corridoio degli uffici. ragiono su una cosa che m'è appena venuta in mente e commento a mezza voce. passa la mia capa e domanda: "parli da solo?" la rassicuro: sì, sì, sempre. la mia sanità mentale non è più in pericolo di quanto lo sia di solito".
è un'abitudine che ho acquisito abitando da solo: si vede che esiste (almeno per me) la necessità di riempire qualche vuoto sonoro; abitando in campagna poi, l'inquinamento acustico è ridotto al minimo: si limita ai litigi furibondi dei vicini del piano di sopra, ma quelli accadono in orari inopportuni, tipo le due di notte.
e mi si è tanto radicato che la pratico anche in luoghi e situazioni i più diversi, tipo anche al supermercato: tanto che, quando mi capita di far spesa in compagnia dei figli, io continuo imperterrito a parlare da solo: "lo compri il pane?" è diventato un tormentone di quando siamo insieme al super, da quando mi son rivolto da solo questa domanda. a voce alta.
vabbè, penso che l'importante sia non farsi mai domande che non siano retoriche, e casomai non aspettarsi risposte.
almeno, spero :-DDD
è un'abitudine che ho acquisito abitando da solo: si vede che esiste (almeno per me) la necessità di riempire qualche vuoto sonoro; abitando in campagna poi, l'inquinamento acustico è ridotto al minimo: si limita ai litigi furibondi dei vicini del piano di sopra, ma quelli accadono in orari inopportuni, tipo le due di notte.
e mi si è tanto radicato che la pratico anche in luoghi e situazioni i più diversi, tipo anche al supermercato: tanto che, quando mi capita di far spesa in compagnia dei figli, io continuo imperterrito a parlare da solo: "lo compri il pane?" è diventato un tormentone di quando siamo insieme al super, da quando mi son rivolto da solo questa domanda. a voce alta.
vabbè, penso che l'importante sia non farsi mai domande che non siano retoriche, e casomai non aspettarsi risposte.
almeno, spero :-DDD
mercoledì 13 luglio 2011
lunedì 11 luglio 2011
due di infiniti
il mio ritardo nel leggere libri usciti ormai da decenni è perlomeno leggendario: basti dire che ho cominciato a leggere john fante un paio d'anni fa. e comunque, la mia cultura letteraria è del tutto casuale e frammentata, non ho mai seguito un criterio e spesso ho semplicemente saccheggiato le librerie altrui, fidandomi dei loro giudizi.
poi, a volte, un libro ti colpisce di spigolo proprio sulla tempia e ti lascia il segno per un bel po'. è il caso di due di due di andrea de carlo. il titolo spiega un po' la vicenda: sono descritte due delle infinite possibilità che un individuo ha di fronte nel suo percorso di maturazione - infinite ma ridotte a due perché due sono i personaggi, che sono in fondo due facce dela stessa medaglia (anzi, direi meglio che sono le due anime di uno stesso personaggio) e perché quel modo di interpretare la vita, se riesce a non cedere alla massificazione, conosce solo due vie possibili: creatività o autodistruzione.
tagliando la storia con l'accetta, due ragazzi si conoscono alle superiori, entrambi insofferenti verso la cultura dominante; la generazione dei sessantottini, a cui mario e guido appartengono, è stata la prima, in italia e forse in europa, che non ha dovuto fare i conti con la sopravvivenza quotidiana e quindi aveva tempo e risorse mentali da dedicare alla speculazione pura. la sperimentazione era quindi d'obbligo per tutti, o perlomeno per tutti coloro che riflettono sulla natura delle cose e ci girano intorno per capirle, al di là dei loro nomi. attraversano pertanto il periodo della contestazione studentesca accogliendola come un soffio d'aria fresca, ma rimangono delusi da come anche gli aneliti di novità restino soffocati, costretti all'interno di convenzioni magari differenti, ma pur sempre codificate. guido, il più fascinoso dei due, reagisce fuggendo alla ricerca di qualcosa che riesca a sorprenderlo, ma più che altro alla ricerca della purezza dell'intento; mario, dopo un periodo di depressione a causa della mancanza di stimoli, approfitta dell'eredita lasciatagli dal marito di sua madre per impiantare, non senza fatica, una fattoria nella campagna umbra, dove si darà con successo alle coltivazioni biodinamiche, con l'aiuto di una ragazza che sarà sua compagna e diventerà poi madre dei suoi figli.
la seconda parte del libro racconta proprio la progressiva divaricazione delle due vie perseguite dai personaggi, che non riescono più a trovare un punto di contatto, anche se quando si incontrano si riconoscono come fratelli: mario, che pure all'inizio sembrava essere il meno concreto e creativo dei due, riesce a mettere solidamente radici nella vita e a dare la sua personale impronta alla sua esistenza, mentre guido rimane schiacciato tra il suo auspicio di onestà e purezza intellettuali e la necessità di accettare compromessi perché le sue azioni diventino davvero concrete: con l'aiuto di mario riesce a far pubblicare un suo libro da un editore piuttosto famoso, ottenendo che non venisse in alcun modo manipolato, ma poi manca l'occasione di divulgare più ampiamente il suo pensiero perché non riesce ad accettare i compromessi legati alla notorietà e si getta anzi in un percorso di autodistruzione fatto di droga, alcool e rapporti superficiali, finché muore al volante della sua auto, in circostanze che lasciano intendere una certa percentuale di volontarietà nell'accaduto.
la reazione di mario è:
era come se una parte dei miei pensieri se ne fosse andata per sempre, insieme alla capacità di [...] cercare sicurezza e ancora sperare in una sorpresa. ero solo quello che ero, adesso, e facevo solo quello che facevo; non avevo più esitazioni né illusioni né aspettative incontrollate, percepivo in modo chiaro i margini della mia vita.
se c'è una grandezza nello stile di de carlo è questa capacità di sintesi nel descrivere gli stati d'animo, dove ogni parola ha un significato esatto e insostituibile. mario ha avuto bisogno di guido, per non sentirsi isolato nel suo disagio e credere che un altro modo di vivere fosse possibile e condivisibile, ma poi ha avuto anche bisogno della concretezza del denaro per mettere in pratica i suoi desideri. la risultante di queste due forze è stata la fondazione di un'isola felice, dove le persone potessero vivere secondo le loro aspirazioni e al di fuori delle logiche dello sfruttamento e che nel contempo potesse fare da punto di riferimento per altre persone le cui coscienze rifiutavano di essere omologate a quelle logiche. ma senza la concretezza degli atteggiamenti, senza accettare dei minimi compromessi che ti consentono di andare avanti, non è possibile realizzare niente, e i puri di cuore - ma forse sarebbe meglio definirli integralisti della purezza - sono destinati a soccombere, vittime di se stessi.
in tal senso va anche interpretata la capacità seduttiva di guido, di cui de carlo scrive: ogni donna era per guido una chiave che gli permetteva di entrare in un'altra vita [...] doveva essere l'ossessione per le infinite possibilità parallele a rendere senza fine la sua ricerca. infinite possibilità parallele, che guido avrebbe voluto considerare tutte, pur di essere in grado di trovare la sua. ma siamo umani e pertanto finiti, dobbiamo fare i conti con questo. chi non ci riesce potrebbe essere destinato a fallire molto più di chi accetta di immaginarsi le cose ma non si fissa su una loro idea archetipica, perché sa che l'immaginazione finisce per mangiarsi tutto il terreno su cui una cosa potrebbe succedere.
la morte di guido rappresenta la guarigione definitiva di mario, come chi soffre di sdoppiamento della personalità deve uccidere quelle dannose per poter recuperare la propria interezza. incendiare volontariamente, dopo la morte dell'amico, la seconda delle due case della fattoria di mario, quella che negli intenti e dall'inizio era destinata a guido e a una sua eventuale compagna, è gesto insieme simbolico e catartico. non resta che continuare a vivere, allargando la propria coscienza e mettendo a disposizione le proprie conquiste a chi desideri esserne messo a parte, anche se dovesse essere raggiunto con mezzi inortodossi. in ogni caso, costruendo.
poi, a volte, un libro ti colpisce di spigolo proprio sulla tempia e ti lascia il segno per un bel po'. è il caso di due di due di andrea de carlo. il titolo spiega un po' la vicenda: sono descritte due delle infinite possibilità che un individuo ha di fronte nel suo percorso di maturazione - infinite ma ridotte a due perché due sono i personaggi, che sono in fondo due facce dela stessa medaglia (anzi, direi meglio che sono le due anime di uno stesso personaggio) e perché quel modo di interpretare la vita, se riesce a non cedere alla massificazione, conosce solo due vie possibili: creatività o autodistruzione.
tagliando la storia con l'accetta, due ragazzi si conoscono alle superiori, entrambi insofferenti verso la cultura dominante; la generazione dei sessantottini, a cui mario e guido appartengono, è stata la prima, in italia e forse in europa, che non ha dovuto fare i conti con la sopravvivenza quotidiana e quindi aveva tempo e risorse mentali da dedicare alla speculazione pura. la sperimentazione era quindi d'obbligo per tutti, o perlomeno per tutti coloro che riflettono sulla natura delle cose e ci girano intorno per capirle, al di là dei loro nomi. attraversano pertanto il periodo della contestazione studentesca accogliendola come un soffio d'aria fresca, ma rimangono delusi da come anche gli aneliti di novità restino soffocati, costretti all'interno di convenzioni magari differenti, ma pur sempre codificate. guido, il più fascinoso dei due, reagisce fuggendo alla ricerca di qualcosa che riesca a sorprenderlo, ma più che altro alla ricerca della purezza dell'intento; mario, dopo un periodo di depressione a causa della mancanza di stimoli, approfitta dell'eredita lasciatagli dal marito di sua madre per impiantare, non senza fatica, una fattoria nella campagna umbra, dove si darà con successo alle coltivazioni biodinamiche, con l'aiuto di una ragazza che sarà sua compagna e diventerà poi madre dei suoi figli.
la seconda parte del libro racconta proprio la progressiva divaricazione delle due vie perseguite dai personaggi, che non riescono più a trovare un punto di contatto, anche se quando si incontrano si riconoscono come fratelli: mario, che pure all'inizio sembrava essere il meno concreto e creativo dei due, riesce a mettere solidamente radici nella vita e a dare la sua personale impronta alla sua esistenza, mentre guido rimane schiacciato tra il suo auspicio di onestà e purezza intellettuali e la necessità di accettare compromessi perché le sue azioni diventino davvero concrete: con l'aiuto di mario riesce a far pubblicare un suo libro da un editore piuttosto famoso, ottenendo che non venisse in alcun modo manipolato, ma poi manca l'occasione di divulgare più ampiamente il suo pensiero perché non riesce ad accettare i compromessi legati alla notorietà e si getta anzi in un percorso di autodistruzione fatto di droga, alcool e rapporti superficiali, finché muore al volante della sua auto, in circostanze che lasciano intendere una certa percentuale di volontarietà nell'accaduto.
la reazione di mario è:
era come se una parte dei miei pensieri se ne fosse andata per sempre, insieme alla capacità di [...] cercare sicurezza e ancora sperare in una sorpresa. ero solo quello che ero, adesso, e facevo solo quello che facevo; non avevo più esitazioni né illusioni né aspettative incontrollate, percepivo in modo chiaro i margini della mia vita.
se c'è una grandezza nello stile di de carlo è questa capacità di sintesi nel descrivere gli stati d'animo, dove ogni parola ha un significato esatto e insostituibile. mario ha avuto bisogno di guido, per non sentirsi isolato nel suo disagio e credere che un altro modo di vivere fosse possibile e condivisibile, ma poi ha avuto anche bisogno della concretezza del denaro per mettere in pratica i suoi desideri. la risultante di queste due forze è stata la fondazione di un'isola felice, dove le persone potessero vivere secondo le loro aspirazioni e al di fuori delle logiche dello sfruttamento e che nel contempo potesse fare da punto di riferimento per altre persone le cui coscienze rifiutavano di essere omologate a quelle logiche. ma senza la concretezza degli atteggiamenti, senza accettare dei minimi compromessi che ti consentono di andare avanti, non è possibile realizzare niente, e i puri di cuore - ma forse sarebbe meglio definirli integralisti della purezza - sono destinati a soccombere, vittime di se stessi.
in tal senso va anche interpretata la capacità seduttiva di guido, di cui de carlo scrive: ogni donna era per guido una chiave che gli permetteva di entrare in un'altra vita [...] doveva essere l'ossessione per le infinite possibilità parallele a rendere senza fine la sua ricerca. infinite possibilità parallele, che guido avrebbe voluto considerare tutte, pur di essere in grado di trovare la sua. ma siamo umani e pertanto finiti, dobbiamo fare i conti con questo. chi non ci riesce potrebbe essere destinato a fallire molto più di chi accetta di immaginarsi le cose ma non si fissa su una loro idea archetipica, perché sa che l'immaginazione finisce per mangiarsi tutto il terreno su cui una cosa potrebbe succedere.
la morte di guido rappresenta la guarigione definitiva di mario, come chi soffre di sdoppiamento della personalità deve uccidere quelle dannose per poter recuperare la propria interezza. incendiare volontariamente, dopo la morte dell'amico, la seconda delle due case della fattoria di mario, quella che negli intenti e dall'inizio era destinata a guido e a una sua eventuale compagna, è gesto insieme simbolico e catartico. non resta che continuare a vivere, allargando la propria coscienza e mettendo a disposizione le proprie conquiste a chi desideri esserne messo a parte, anche se dovesse essere raggiunto con mezzi inortodossi. in ogni caso, costruendo.
venerdì 8 luglio 2011
eros e inciviltà
sono ancora una che fa l'amore per amore/complicità/incanto/magia e, quando senza questo, si dedica all'autoerotismo, lo fa ancora con le proprie mani (la propria pelle, la propria fisicità) e senza oggetti - che mi fanno venire da piangere (perché io voglio una persona, completa, tutta), come per i film/video porno.
Il mio mondo è l'eros totale con l'uomo che in quel momento della vita sto amando (...) perciò qualsiasi cosa di meno totale mi spacca davvero il cuore dal dolore, è troppo poco, piuttosto il nulla.
Non potrei mai pensare di fare l'amore senza amare, così come non potrei mai pensare di fare l'amore in situazioni - neanche temporanee - di dominio o di violenza. Pur se fare l'amore comporta anche un po' di dolore - perché è sempre il corpo di un'altra persona che entra e si incastra nel tuo. Ma c'è modo e modo...
queste parole, che vengono da qui, mi stimolano a dire la mia in maniera più elaborata e complessa di quanto abbia già fatto nei commenti stessi.
la premessa indispensabile è che ognuno ha (o a parer mio dovrebbe avere) la propria dimensione dell'eros e ciascuna ai miei occhi ha pari dignità.
ciò detto, per una volta dissento dalle posizioni di minerva (allelujah! :-D): nel sesso pongo molti meno limiti, sia a me che agli altri, sia che lo pratichi in compagnia che da solo, e ritengo che tutto quello che sia di aiuto al sesso sia legittimo e praticabile, se condiviso. quindi vanno bene macchinari/aggeggi di qualsiasi genere per l'autoerotismo (ma anche per l'eteroerotismo, perché no!), usati da soli o in compagnia; va bene la pornografia (idem); va bene far sesso anche se non si è spinti da sentimenti superiori e va bene anche una condizione di dominazione/sottomissione.
so perfettamente che minerva non intende con ciò manifestare disapprovazione nei confronti di chi la pensa diversamente da lei, ma magari non per tutti è così, e poi volevo appuntare un momento l'attenzione sul concetto di eros e su quello che muove l'erotismo nelle persone: quello che per me è qualcosa che accende i miei sensi e mi stimola eroticamente, per un altro può essere del tutto indifferente quando non sgradevole, e viceversa: è completamente sbagliato pensare che tutti reagiscano allo stesso modo agli stessi stimoli, come pure è plausibile che a uno stesso stimolo, in condizioni diverse, si reagisca in maniera differente. facciamo un esempio concreto.
la vulgata comune è che "la gnocca piace a tutti" (a dire il vero conosco un detto che sostiene l'opposto, ma è un tantinello triviale. anche più di questo); e sicuramente piace anche a me. ma non mi piace tutta la gnocca indistintamente e, tanto per fare un altro esempio, non mi piace che me la sbattano in faccia; massimamente poi, mi dà fastidio quando lo fanno senza motivo, quando si usano mezzi di seduzione in maniera quasi inconsapevole, ancorché ostentata: guardate tutte le donne che assecondano i dettami della moda corriva, che vuole le donne tanto più ammirevoli quanto più smutandate: indossano tacchi vertiginosi, gonne talmente aderenti o/e corte che niente è lasciato all'immaginazione, scollature che aprono visioni di altri mondi sostenuti da push-up architettonicamente audaci. eppure sono pronto a scommettere che quasi nessuna di quelle risulterà una donna disinibita e tanto meno disponibile. a volte non hanno nemmeno un'idea precisa del perché (e a volte nemmeno del se) piaccia loro fare sesso. ormai ci si (s)veste in maniera automatica, si è persa la consapevolezza che scegliere di apparire in un certo modo costituisce una forma di comunicazione: ci si abbiglia soltanto perché è un bisogno indotto dai media, ci si uniforma ad un modello di comportamento senza conoscerne i presupposti, correndo, appunto, il rischio di assumere comportamenti che non ci appartengono.
e un comportamento incongruente, quando è così diffuso, ingenera solo confusione: da una parte, chi vorrà essere considerata come persona piuttosto che per il suo involucro rinuncerà a priori a qualsiasi forma di seduzione visiva, scegliendo di apparire il meno possibile, fino alla sgradevolezza; dall'altra, visto che l'immaginario erotico maschile si fonda per gran parte sul senso della vista, i maschietti avranno a che fare con un numero imprecisato di false positività e di false negatività.
ed è un peccato, perché il gioco della seduzione è piacevole e divertente, oltreché innocuo, e dovremmo poterci sentire liberi di giocarlo con chi ci pare, quando ci pare, se ci pare e soprattutto senza ipocrisia e senza schemi preconfezionati.
Il mio mondo è l'eros totale con l'uomo che in quel momento della vita sto amando (...) perciò qualsiasi cosa di meno totale mi spacca davvero il cuore dal dolore, è troppo poco, piuttosto il nulla.
Non potrei mai pensare di fare l'amore senza amare, così come non potrei mai pensare di fare l'amore in situazioni - neanche temporanee - di dominio o di violenza. Pur se fare l'amore comporta anche un po' di dolore - perché è sempre il corpo di un'altra persona che entra e si incastra nel tuo. Ma c'è modo e modo...
queste parole, che vengono da qui, mi stimolano a dire la mia in maniera più elaborata e complessa di quanto abbia già fatto nei commenti stessi.
la premessa indispensabile è che ognuno ha (o a parer mio dovrebbe avere) la propria dimensione dell'eros e ciascuna ai miei occhi ha pari dignità.
ciò detto, per una volta dissento dalle posizioni di minerva (allelujah! :-D): nel sesso pongo molti meno limiti, sia a me che agli altri, sia che lo pratichi in compagnia che da solo, e ritengo che tutto quello che sia di aiuto al sesso sia legittimo e praticabile, se condiviso. quindi vanno bene macchinari/aggeggi di qualsiasi genere per l'autoerotismo (ma anche per l'eteroerotismo, perché no!), usati da soli o in compagnia; va bene la pornografia (idem); va bene far sesso anche se non si è spinti da sentimenti superiori e va bene anche una condizione di dominazione/sottomissione.
so perfettamente che minerva non intende con ciò manifestare disapprovazione nei confronti di chi la pensa diversamente da lei, ma magari non per tutti è così, e poi volevo appuntare un momento l'attenzione sul concetto di eros e su quello che muove l'erotismo nelle persone: quello che per me è qualcosa che accende i miei sensi e mi stimola eroticamente, per un altro può essere del tutto indifferente quando non sgradevole, e viceversa: è completamente sbagliato pensare che tutti reagiscano allo stesso modo agli stessi stimoli, come pure è plausibile che a uno stesso stimolo, in condizioni diverse, si reagisca in maniera differente. facciamo un esempio concreto.
la vulgata comune è che "la gnocca piace a tutti" (a dire il vero conosco un detto che sostiene l'opposto, ma è un tantinello triviale. anche più di questo); e sicuramente piace anche a me. ma non mi piace tutta la gnocca indistintamente e, tanto per fare un altro esempio, non mi piace che me la sbattano in faccia; massimamente poi, mi dà fastidio quando lo fanno senza motivo, quando si usano mezzi di seduzione in maniera quasi inconsapevole, ancorché ostentata: guardate tutte le donne che assecondano i dettami della moda corriva, che vuole le donne tanto più ammirevoli quanto più smutandate: indossano tacchi vertiginosi, gonne talmente aderenti o/e corte che niente è lasciato all'immaginazione, scollature che aprono visioni di altri mondi sostenuti da push-up architettonicamente audaci. eppure sono pronto a scommettere che quasi nessuna di quelle risulterà una donna disinibita e tanto meno disponibile. a volte non hanno nemmeno un'idea precisa del perché (e a volte nemmeno del se) piaccia loro fare sesso. ormai ci si (s)veste in maniera automatica, si è persa la consapevolezza che scegliere di apparire in un certo modo costituisce una forma di comunicazione: ci si abbiglia soltanto perché è un bisogno indotto dai media, ci si uniforma ad un modello di comportamento senza conoscerne i presupposti, correndo, appunto, il rischio di assumere comportamenti che non ci appartengono.
e un comportamento incongruente, quando è così diffuso, ingenera solo confusione: da una parte, chi vorrà essere considerata come persona piuttosto che per il suo involucro rinuncerà a priori a qualsiasi forma di seduzione visiva, scegliendo di apparire il meno possibile, fino alla sgradevolezza; dall'altra, visto che l'immaginario erotico maschile si fonda per gran parte sul senso della vista, i maschietti avranno a che fare con un numero imprecisato di false positività e di false negatività.
ed è un peccato, perché il gioco della seduzione è piacevole e divertente, oltreché innocuo, e dovremmo poterci sentire liberi di giocarlo con chi ci pare, quando ci pare, se ci pare e soprattutto senza ipocrisia e senza schemi preconfezionati.
così tanto da dire...
...così poco tempo.
volevo scrivere qualcosa su un libro che sto leggendo (già il fatto che pare che riesca a finire di leggerlo in tempi ragionevoli è un avvenimento), e avevo una terza parte dei post precedenti sulla punta della lingua, e poi avevo un paio di micro film da raccontare...
prima o poi.
volevo scrivere qualcosa su un libro che sto leggendo (già il fatto che pare che riesca a finire di leggerlo in tempi ragionevoli è un avvenimento), e avevo una terza parte dei post precedenti sulla punta della lingua, e poi avevo un paio di micro film da raccontare...
prima o poi.
martedì 5 luglio 2011
sabato 2 luglio 2011
e c'è ancora chi pensa che questo non sia un regime.
copio e incollo da metilparaben, ma l'iniziativa ormai rimbalza da un blog all'altro, compreso quello dei ladri di bellezza:
In estrema sintesi sta succedendo questo: il 6 luglio l'AgCom voterà una delibera con cui si arrogherà il potere di oscurare siti internet stranieri e di rimuovere contenuti da quelli italiani, in modo arbitrario e senza il vaglio del giudice.
Siccome, con ogni evidenza, si tratta di una misura degna dei peggiori regimi, sarebbe il caso di rimboccarsi le maniche per evitare che venga approvata.
Cosa puoi fare:
- se sei un blogger scrivi un post, usando il logo che vedi qua sopra e riportando tutti i link, e diffondilo più che puoi tra quelli che conosci;
- vai alla pagina di Agorà Digitale in cui sono raccolti tutti i link, le iniziative e le proposte dei cittadini;
- firma e diffondi la petizione sul sito di Avaaz;
- partecipa e invita tutti i tuoi amici a "La notte della rete": 4 ore no-stop in cui si alterneranno cittadini e associazioni in difesa del web, politici, giornalisti, cantanti, esperti.
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