la musica del pat metheny group si poggia, armonicamente, su idee semplici, ma molto bene arrangiate. oddio, certo, per quanto semplice fosse il jazz degli anni '80, che comunque era contaminato da tutta la musica colta del '900 e considerando che quasi tutti i jazzisti (perlopiù bianchi) che gravitavano intorno alla berklee school di boston tenevano sul comodino il manuale di armonia di arnold schoenberg. insomma, in ogni caso niente di rivoluzionario, ma tanto mestiere per rendere orecchiabile anche un accordo con tre-quattro estensioni suonato su un tempo dispari.
the first circle (1984) è un po' il capolavoro del periodo, una specie di summa del pensiero metheniano sulla poppizzazione del jazz, pur rimanendo su livelli di eccellenza, non a caso definito aperto, esuberante, positivo e gioioso. la title track, da questo punto di vista, è esemplare: un inizio ritmico di claps chitarra e percussioni con un tempo (11/8?) e una scansione ritmica che non riesco a decifrare e un tema melodico ed evocativo. metheny suona solo la chitarra acustica e soltanto in funzione ritmica (tranne un lungo arpeggio all'inizio), ma il pezzo è deliziosamente sinfonico e largamente lirico, con un bellissimo assolo al pianoforte di lyle mays di più di tre minuti, suonato tutto in lento e costante crescendo dinamico, che sfocia in un bridge quasi wagneriano, con grande profusione di archi e percussioni e che porta alla riproposizione finale del tema, che termina con una lunga nota acuta insistita, sotto di cui si srotola una progressione di accordi di grande effetto, con una scansione ritmica che riprende quella dell'inizio.
andai a sentire metheny a roma in quel periodo, e suonò tutti i pezzi di quel cd, ultimo uscito all'epoca, più altri dai precedenti (per la cronaca, suonò sette chitarre diverse). tra tutti gli altri, suonò uno dei miei preferiti di sempre, cioè are you going with me, tratto da offramp. all'epoca, le cassette di metheny le consumavo letteralmente, conoscevo a memoria anche i rumori di sottofondo. quando al concerto paul wertico batté i due colpi di rullante dell'inizio del pezzo, mi rilassai per predispormi all'ascolto. introduzione molto soft, tema che quasi non c'è, suoni tipici dai synth di lyle mays che conoscevo bene. poi un rapido crescendo e la modulazione verso la seconda tonalità del pezzo che introduce l'assolo di pat. e lì accade una cosa stranissima. quel pezzo che conoscevo a memoria, suonato in maniera quasi pedissequa anche live, sentito suonare dal vivo mi fa piangere. irrefrenabilmente, incontenibilmente. un'onda di emozione che non riesco a contrastare in alcun modo, fin dalle primissime note della chitarra midi di metheny mi sgorgano dagli occhi lacrime calde e immotivate - non c'è alcuna evocazione, alcun riferimento a fatti drammatici o comunque commoventi che mi legano a quel pezzo - eppure l'emozione è lì, concreta, liquida.
l'ho sentito di nuovo eseguito dal vivo, seppure con la mediazione della televisione, a doc, il programma di musica live di renzo arbore di pochi anni dopo, e mi ha fatto lo stesso effetto.
non ho mai capito il perché.
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