a pensarci bene, col senno di poi, la nostra storia era già stata scritta, e anche qualche bell'anno prima che ci conoscessimo, e il dio delle coincidenze, che a quanto pare soffre di qualche discronia, volle che tu ogni tanto mi cantassi proprio il ritornello di questa canzone, anche se lo facevi per il romantico motivo che la prima volta che facemmo l'amore eravamo proprio tra i filari di una vigna.
tra l'altro, son tornato più volte lungo quella strada, cercando il punto in cui quella notte deviammo per i campi, ma non l'ho mai ritrovato.
due mondi, proprio. e chi se lo immaginava, all'epoca, che quella che voleva me, una vita, far l'amore nelle vigne, al primo acquazzone si sarebbe miseramente spenta, lasciando me e la vela della mia mente sgonfia di quel vento che mi pareva di aver trovato?
Sarei una cosa tua amore, gelosia amor di borghesia. Da femmina latina a donna americana non cambia molto... sai?
pre-ci-so. il fatto è che pare che sia naturale scambiare l'entusiasmo degli inizi per una propensione caratteriale. per te era la prima, per me è la seconda: a me non piace semplicemente scopare, come quasi tutti: io adoro la figa, per me è una priorità. c'è differenza.
il post finirebbe pure qua, tutto quel che c'è da dire è già stato ampiamente detto. rimane una considerazione su tutti coloro che si sposano con il coniuge sbagliato. errare fa parte dell'umana natura, dicono, ma si può anche riconoscere l'errore, fare ammenda e riprovare. capisco anche che non tutti son coglioni come il sottoscritto, che reputa che la propria dignità e il perseguimento della felicità secondo i suoi principi valgano ben più della moltiplicazione delle spese causata dalla separazione, però, cazzo, più navigo in questo mare di persone, più ne scopro di cronicamente insoddisfatte e rinunciatarie, salvo cercare di farsi una seconda vita parallela. contenti voi...
se volete, ascoltate la canzone, che brutta non è, anche se molti si domanderanno il motivo della presenza di mara cubeddu, che secondo me non sa cantare. oppure ascoltate quella proposta dopo, che mi è venuta istantaneamente in testa dopo aver scritto il titolo.
Vinca il migliore massimo gramellini
A parte il mondo, cos’altro vorreste che finisse il 21.12.12? Io
qualche idea l’avrei: i cacciaballe, i corruttori, i dispregiatori del
diritto, i terrorizzati dalla morte che frequentano giovinezze
comprabili e mettono fard sulle rughe e capelli arancioni sulla pelata. I
populisti che sanno parlare solo alla pancia e hanno l’impudenza di
chiamarla cuore. Gli omini di burro che fanno la spola fra il Paese dei
gonzi e quello dei balocchi, e se lo spread sale, dicono, chi se ne
importa dello spread. I grilli sparlanti che furono comici e adesso
affermano senza sorridere: sono così democratico ma così democratico che
se qualcuno dei miei ha qualche dubbio in proposito vada pure fuori
dalle palle (oh yeah). Vorrei che finissero anche quelli come me, che
appena i cacciaballe corruttori dispregiatori terrorizzati populisti
ritornano in scena ormai solo come maschere grottesche, gli ringhiano
addosso, accampando la scusa che sono ancora pericolosi mentre sono
soltanto funzionali al desiderio rassicurante di continuare a parlare e a
indignarsi delle stesse cose. Però vorrei che finissero anche quelli
tra di voi che hanno ricominciato a parlare indignandosi di Lui, a
guardare i programmi dove si parla indignandosi di Lui, a cercare gli
articoli dove si parla indignandosi di Lui, salvo indignarsi perché si
parla di nuovo troppo di Lui.
Insomma, vorrei che il 21.12.12 Monti entrasse in politica e sfidasse
Bersani, centrodestra europeo contro centrosinistra europeo, una
campagna elettorale di progetti e non di insulti dove per una volta alla
fine si potesse votare il migliore e non come sempre il meno peggio.
ecco, manfatti. non ha fatto in tempo il nano a dire che sarebbe tornato più bello (?) e più superbo (?) che prìa che tutti si sono affannati a starnazzare: "ecco, torna il nano! mamma li turchi!! stracciatevi le vesti!!!" e giù, un profluvio di articoli di giornale e prime pagine, cartacee e online, e trafiletti con tutte le varie nefandezze che ha compiuto negli anni precedenti, e le foto con la "fidanzata" e giù a sottolineare che ha 50 anni meno di lui...
ma mi domando; tutto questo dovrebbe servire a...? dissuadere gli italiani dal votarlo...?
...ma la volete capire che lo sanno benissimo chi è e che anzi lo votano proprio per quello?
mi è capitato ieri sera di vedere in tv le ricamatrici, un film francese del 2004 di eléonore faucher. a memoria mia, non mi pare di ricordare che abbia avuto una distribuzione proprio proprio capillare, nelle sale italiane, tant'è che su youtube non ne ho trovato nemmeno il trailer in italiano, ed è un vero peccato perché è un film godibilissimo, sottile eppure molto puntuale.
il critico di mymovies dice: Perché i francesi riescono a girare film che gli italiani non realizzerebbero nemmeno sotto tortura? e mi pare una domanda più che legittima, perché è da un bel pezzo che non si vede (io, almeno, ma ammetto che ultimamente sono un po' distratto) un film italiano del genere. se penso a qualcosa di vagamente (molto vagamente) simile, mi viene in mente anche libero va bene, il film d'esordio alla regia di kim rossi stuart, oppure cosa voglio di più di soldini. sì, lo so che non c'entrano un cazzo, la similitudine che cercavo stava nella collocazione sociale dei protagonisti delle storie raccontate e, con un po' di buona volontà, quasi quasi ci siamo. ma comunque sembra che i registi italiani si vergognino di raccontare le storie della cosiddetta gente comune, quella che fa un lavoro qualsiasi o che magari un lavoro non ce l'ha proprio, ma non per questo è così arida da non avere sentimenti degni di essere raccontati. magari, se non ha un'istruzione adeguata, non riuscirà a trovare le parole per descrivere i propri stati d'animo, ma ciò non significa che non ne abbia - ed è qui che servono le immagini (vedi, amore mio, il post di tazio sulla comunicazione), e bravi attori che sappiano interpretare contemporaneamente uno stato d'animo e l'impossibilità di comunicarlo all'esterno.
le ricamatrici racconta quella che guccini chiamava una piccola storia ignobile: una ragazza di campagna, commessa di supermercato, rimane incinta del suo amante occasionale, se ne accorge quando è troppo tardi per abortire, non sa che fare del bambino e cerca di tenere nascosta la gravidanza alla famiglia e in genere a chi non le è amico. trova comprensione e albergo presso una donna che la dà da lavorare come ricamatrice, a cui è morto il figlio. entrambe trovano nel loro rapporto una motivazione sufficiente per riprendere il filo della speranza. già negli anni '70 una storia del genere non valeva due colonne su un giornale, come appuntava il sunnominato, figuriamoci se oggi potrebbe valere un film. per la faucher, sì; per i registi italiani invece, a quanto pare, serve sempre, comunque, qualcosa di estremo: come minimo la ragazza deve essere bipolare, o deve essere stata stuprata, o il padre è affiliato alla camorra degli scissionisti, o la madre di lei muore travolta da un'auto guidata da un imprenditore ubriaco che però addossa la colpa al solito extracomunitario e il padre, distrutto dal dal dolore, sperpera tutto il patrimonio in videopoker, prima di essere redento da una prostituta ex tossica la quale, però, si scoprirà, era nata da una relazione del padre della moglie morta (in sostanza, del suocero di lui) con una ballerina e quindi in sostanza sta con la sorellastra della moglie morta... fermi un attimo. dove eravamo? a una ragazza incinta e ai suoi problemi. che son semplici, se visti nell'ottica delle dinamiche tra stato e stato, ma per lei sono enormi, e se li deve smazzare perlopiù da sola.
il cinema italiano è scollato dalla gente comune, non riesce a raccontarla, non la conosce, probabilmente se ne vergogna un po'. se racconta la storia di qualche sfigato, è per raccontarne i tentativi di riscatto e sicuramente lo sfigato sogna in grande ma, sotto sotto, il regista gode nel raccontarne i fallimenti. o lo riduce a macchietta, tipo scialla. eppure, il neorealismo lo abbiamo inventato noi nel dopoguerra, per contrasto con un cinema di maniera che raccontava solo le liete storie delle élites, il famoso cinema dei telefoni bianchi. il regime fascista negava dolosamente l'esistenza di problemi di qualsivoglia natura tra la popolazione, e siccome il cinema era un grande strumento di propaganda, nessun film che parlasse di disoccupazione, di fame, di povertà sarebbe stato tollerato. oggi mi pare di assistere a una nuova forma di elitismo, quello della complessità: se una storia non è sufficientemente complessa, nella trama o nell'impalcatura psicologica dei personaggi e delle loro interazioni, un regista italiano non è interessato a raccontarla. eppure, a quanto pare, è possibile raccontare di sentimenti senza diventare sentimentali, di parlare di gente comune trattando con rispetto loro e i loro piccoli, quotidiani problemi.
come al solito, in tanti si riempiono la bocca con laggente, ma cosa faccia davvero e soprattutto cosa pensi questa ggente, ormai non interessa più a nessuno, se non quando deve andare a votare o a comprare.
finiamo con una canzone che sta brevemente nella colonna sonora del film e che hanno malamente tagliato, ieri sera, insieme ai titoli di coda. anche quella parla di cose semplici.
stamattina, accendo lo stereo in macchina e il cd riprende da dove lo avevo lasciato:
Get it, get it, hold it, need it, want it,
Get it, need it, want it, hold it,
Get it, squeeze it, love it, touch it,
Use it, need it, want it, get it,
Need it, want it, hold it...
Don't you turn your back on love
poco dopo, do uno sguardo a cosa c'è di nuovo e gramellini mi ammonisce nello stesso senso. e io ho pensato: mh (questa la capiamo solo io e te). ma ce l'hai con me? ma stai parlando con me? no, perché io non ho mai mandato sprecato niente, anzi: se c'è qualcosa di cui sono sempre, continuamente andato in cerca anche quando altri, al posto mio, si sarebbero fermati, sazi e satolli, sono proprio quegli atti di amore disinteressati e puri di cui parla l'ottimo gram. e le spalle all'amore non le ho girate mai, tranne quando la storia era manifestamente finita, o l'offerta che mi veniva fatta era troppo dissimile dalle mie aspirazioni.
caro dio delle coincidenze, stavolta hai sbagliato bersaglio.
sì, va bene, la musica rock (e jazz) è un animale notturno, ma
onestamente ho trovato anacronistico aprire le porte del locale alle
22.45, per non parlare della pantomima del vendere i biglietti anche su
prenotazione, a prezzo maggiorato: chi ha speso i tre euro in più ha
avuto l'unico vantaggio di poter entrare nel locale cinque minuti prima
degli altri, ma anche lo scomodo di dover andare a ritirare i biglietti
al botteghino nel pomeriggio. 'a ridicoli!
anacronistico perché magari una volta si usciva con gli amici, si
andava a mangiare da una parte, ad ubriacarsi/farsi due canne da
un'altra e infine si andava in discoteca/al concerto, rigorosamente non
prima di mezzanotte. oggi, con la spending review, il trend è (parole
sentite durante la fila al botteghino): "ecco quindici euro, portami il
resto" (il biglietto ne costava dodici). magari i figli di papà
seguono ancora la trafila cena-lounge bar-discoteca, ma il figlio di
proletario riportami-il-resto tutt'al più prende un panino al furgone
chiosco parcheggiato fuori dal locale e poi ciondola là fuori aspettando
che il locale apra.
noi tre, impavidi e ignari (nel sito del locale non c'era alcuna
info utile), abbiamo pure cenato presto per esser là davanti alle nove.
chiusi in macchina a ripararci dal freddo, abbamo ammazzato il tempo
guardando filmati divertenti su youtube - meno male il furbòfono.
finalmente apre. ci mettiamo disciplinatamente in fila e poco dopo
entriamo, non c'era esattamente ressa: il gruppo ha sì un suo seguito di
affezionati, ma non sono esattamente i rolling stones. appena dentro,
figlia2 avanza la richiesta: "mi compri la cocacola?". massì, dopotutto è
il tuo compleanno, e prendo una birra anch'io. tu vuoi niente? no.
figlio1 non è mai stato per le bibite ed è ancora troppo giovane per la
birra. una birra e una pepsi, sette euri e cinquanta. a conti fatti, la
ragazza che doveva riportare il resto al padre è tornata a casa con la
sete.
guadagnamo il bordo palco senza difficoltà e attendiamo fiduciosi.
con santa calma, verso le 23.40, comincia ad esibirsi il gruppo di
apertura, un quartetto di sconosciuti gradevole, ma nulla più, vagamente
in stile cranberries. si chiamano mantra più altre cose che non
abbiamo capito. unica cosa notevole: la cantante e chitarrista ha alle
unghie uno smalto dello stesso colore della sua stratocaster. alla
quinta canzone uguale alle quattro precedenti siamo anche un po' stufi,
ma l'educato e disciplinato pubblico evita di sottolinearlo. si ripagano
parzialmente con la sesta, che è un po' più movimentata e soprattutto è
stata annunciata come ultima.
l'esibizione finisce e il palco si anima di gente: i roadies che
sistemano il palco per l'attrazione della serata. se sei anche
minimamente famoso, hai persone che gestiscono il palco per te e ti
portano anche la chitarra già bella e accordata, se la cambi tra una
canzone e l'altra. se sei uno sfigato a inizio carriera, stacchi i cavi e
te li riavvolgi da solo, e ti porti via pure l'ampli, sempre da solo e
pure alla svelta. la dolores de noantri non fa eccezione.
altro cliché è il servizio di sicurezza, svolto da personaggi
categoricamente ipertrofici e categoricamente dalla faccia incazzata.
coraggio, ragazzi, non siete i soli ad essere sottopagati. al terzo
manzo che si avvicenda sul palco a controllare (cosa?), figlia2 domanda:
"ma le guardie devono essere tutte grasse?".
la domanda su cosa controllassero non è messa a caso, visto quel che
è successo dopo: verso mezzanotte e tre quarti salgono sul palco
capovilla & company. l'inizio è suggestivo, tutti immobili e
silenziosi per almeno un lunghissimo minuto, durante il quale le grida
di entusiasmo hanno progressivamente lasciato lo spazio a "ssshhh" che
cercavano di zittire chi ancora rumoreggiava, pensando che il gruppo
aspettasse il silenzio per iniziare. inizia poi la musica e l'entusiasmo
esplode in forma di pogo, e la mandria travolge figlia2, ma
anche me che peso trenta chili di più; mi divincolo dal gruppo e la
ritrovo addosso al subwoofer, all'angolo del palco, più incazzata che
spaventata, perché già vedeva poco dal posto dove eravamo prima, adesso
ancora meno. non appena è iniziata la liturgia, gli addetti alla
sicurezza si son posizionati agli angoli del palco con aria allarmata:
il pubblico premeva contro le due transennine addossate al bordo del
palco che avrebbero dovuto (rido?) separare il pubblico
dagli artisti, con l'unico effetto reale di costituire un pericolo per il primo. la
sicurezza attende nervosamente che finisca la prima canzone e poi
rimuove gli ostacoli. così nessuno si è fatto male.
il volume è imponente, per parlare dobbiamo urlarci nelle orecchie, il subwoofer fa tremare il pavimento e mi massaggia fin nelle viscere.
"papà, alle due andiamo via?" "sarà un po' presto..." e infatti
alle due stiamo ancora tutti cantando, lei compresa, anche se non ho
l'assoluta certezza che capisca quello che canta. vabbè, ha undici anni.
per esempio, quando finisce è colpa mia e stiamo tutti cantando figlio mio, ci pensi? un giorno tutto questo sarà tuo io,
tanto per far finta di non aver capito nemmeno io, la guardo e le
faccio segno che "tutto questo" sia il locale e non il senso di
impotenza e disperazione che le generazioni precedenti non saranno
riuscite a dissipare. figlio1, dopo poco, mi lascia in custodia la sua
felpa nuova e va verso gli amici che ha finalmente scorto in mezzo al
pubblico a bordo palco e se ne va a pogare con loro, rischiando di esser preso e fatto volare, tanto per far festa.
capovilla tiene il palco come un attore consumato, e i suoi gesti infatti son più da attore che da rocker, ma non cala mai di intensità e stasera la sua intonazione è impeccabile. parla con i suoi fans senza microfono, abbassandosi; dalle poche parole che carpisco dalla mia posizione defilata, sento che discute con loro - credo - di sicurezza nei concerti, fino ad ampliare il discorso ai rapporti tra folla e potere. il concerto finisce quasi alle tre in un tripudio di feedback e gran bacchettate sui piatti. la festa prosegue, il dj snocciola foo fighters e nirvana allo stesso assurdo volume del concerto (tanto siamo in zona industriale), ma per noi è ora di andare. compro la maglietta del gruppo per figlia2, facciamo un po' di slalom tra i bravi ragazzi (il bar è quesi deserto e non c'è nemmeno un odorino d'erba...) e torniamo a casa. soddisfatti.
ieri io son venuto al lavoro. i'm sorry, nun ce la posso fa', per tanti motivi. intanto, quello squisitamente egoistico che non me lo posso permettere. dice: facciamo uno sciopero contro l'austerità. oh yes! perché le uniche beneficiarie dell'austerità sono le banche. ok! e così il mese prossimo avrò una ritenuta di 50 euro sullo stipendio. sììì! e quindi il mio conto corrente scenderà (ulteriormente) in rosso! fuck yeah! scoperto su cui pagherò interessi. woo-hoo! che ingrassano le banche. yuu... hey, wait a minute...
dice: eh ma l'interesse personale dovrebbe essere messo da parte, perché a fronte di una imponente manifestazione popolare, chi ci governa non può restare sordo alle nostre istanze.
nella foto: angela merkel, christine lagarde, mario monti ed elsa fornero impressionati dallo sciopero
domanda 1: possibile che in 150 anni non si sia trovata una forma di protesta o/e di lotta diversa dallo sciopero? mettiamo il caso mio, di lavoratore dipendente di un'amministrazione pubblica che fa servizio amministrativo interno: chi minchia se ne accorge, se manco per un giorno? quale danno reco al mio datore di lavoro?
quelli come me, una volta si chiamavano crumiri, termine che, lei m'insegna, deriva dal nome della tribù tunisina dei Khumir [...], che acquisì notorietà verso la fine dell'Ottocento per le numerose scorrerie tra Tunisia e Algeria che diedero il pretesto alla Francia per occupare la Tunisia (fonte: Wikipedia). orbene, mettiamo che io vada in piazza a far numero per farmi vedere che siamo tanti e abbiamo le nostre ragioni da vendere. poi accade che un gruppo di testedicazzo si mette alla testa del mio corteo, si infila i passamontagna e i caschi e cerca di menare i poliziotti (io che ai cortei partecipavo già negli anni '70 ho sempre il sospetto che quelli che fanno casino e quelli che poi li reprimono provengano dalle stesse caserme, ma io sono un vecchio ex comunista dietrologo). e così finisce che i poliziotti menano anche te, me e lui e lei perché improvvisamente diventiamo tutti facinorosi.
domanda 2: questi (le testedicazzo di cui sopra, ammesso che non siano infilitrati) come li chiamiamo?
a corollario di tutto ciò, stamattina mi tocca leggere questo articolo in cui si magnificano le doti di parsimonia della disoccupata che non s'è persa d'animo e afferma di vivere con 5 euro al giorno per cinque persone. a parte che, per esperienza personale, dubito fortemente sulla veridicità dell'affermazione, trovo fuorviante, mistificatorio e anche disonesto fare pubblicità a queste forme di sopravvivenza al limite della miseria, facendole apparire come una valida alternativa e magari anche più sana rispetto all'esistenza industrializzata che siamo abituati a condurre (e tralascio i commenti sui commenti). certo, in mancanza di meglio, si sopravvive anche con poco più di niente: c'è anche gente che si riduce all'accattonaggio, vogliamo prendere esempio anche da loro?
(e questa era la domanda 3)
siamo sempre là: in italia non c'è spazio per il concetto stesso di aggregazione. mezza europa (quella metà che effettivamente dalla politica di austerità ci rimette soltanto) decide di manifestare, ma in italia allo sciopero aderisce solo la cgil. e finché ci sarà chi applaude quelli che applicano l'italica "arte di arrangiarsi", si instillerà nelle menti deboli (e negli ultimi vent'anni, grazie a voi-sapete-chi, ce n'è stata un'epidemia) l'idea che tutto sommato sì, ma in fondo che bisogno c'è dello stato, ce la possiamo anche fare da soli. e anche se siamo obbligati a pagare le tasse e coi nostri soldi ci pagano le puttane, sticazzi, noi possiamo vivere anche con un euro al giorno.
come no. e magari anche lavorare dodici ore al giorno, per quell'euro.
dato 1: mi piace cucinare. non ho studiato, non sono creativo, non mi applico nemmeno tanto, ma mi piace. e di solito quello che cucino piace anche agli altri.
dato 2: mi piacciono la disciplina, il rigore, la sincerità, le persone che si assumono la responsabilità di quello che fanno.
dato 3: il danno peggiore che berlusconi ha fatto all'italia è stato quello di aver fatto credere che talento e capacità possano essere secondari rispetto all'apparenza e alla ruffianeria.
ecco perché guardo masterchef italia, ma nel guardarlo mi incazzo.
ho visto una stagione di masterchef usa: i concorrenti erano dieci volte più preparati e appassionati di quelli italiani, eppure ramsey e bastianich non si peritavano di trattarli come merde, quando proponevano piatti francamente inqualificabili. anche considerando la questione al netto della necessità di fare uno spettacolo televisivo che solletica i bassi istinti del teleutente medio (pure in america hanno il larry king show, roba che altro che uomini e donne), in ogni caso stiamo parlando di un talent show in cui proponi le tue creazioni culinarie a chef internazionali di alto rango, e ti sottoponi al loro giudizio; inoltre, il vincitore viene premiato con la bella cifra di 250.000 dollari: pretendere l'eccellenza e censurare, anche pesantemente, la cialtroneria non lo trovo così sbagliato.
in nessun caso ho visto un concorrente, per quanto smerdato, recriminare.
e gli italiani? piangono. ho litigato col timer di solito mi viene bene non conoscevo bene il forno pensavo di avere più tempo
...eccetera. insomma, è sempre colpa di qualcun altro. il fatto è che la critica, anche quando è impietosa, è da accettare in silenzio e umiltà, senza scuse né recriminazioni. perché nel momento in cui tu accetti di essere criticato (e se partecipi a un concorso, di questo si tratta), implicitamente riconosci l'autorità del giudice. e se hai fatto un disastro, lo hai combinato tu. non la farina. non il forno. non il tempo che manca. solo la tua incapacità.
puoi migliorare, certo, se studi e ti applichi, anche se questo non può supplire alla mancanza di talento. di certo se recrimini e cerchi di evitare le responsabilità non migliori la situazione.
ma guarda tu, io guardo un programma di cucina e finisce inevitabilmente che mi incazzo con berlusconi.
...dovrei argomentare la mia affermazione, ma sono così mentalmente stanco che ci rinuncio.
l'affermazione è che nessun italiano metterà mai in pratica alcuna forma di ribellione concreta contro qualsivoglia oppressore, a meno di essere veramente alla fame. se abbiamo un talento, è quello del sacrificio, della rinuncia, della privazione. tutto è sacrificabile: l'amore, l'amicizia, il divertimento, la bellezza, l'arte, la cultura. in nome di cosa, non è dato sapere, visto che a mio parere non rimane altro per cui valga la pena vivere.
il film non è niente male, anche se indulge tantissimo sui tre (presunti) superstiti e quasi niente sul quarto incolpevole intruso, che pure fa la sua calligrafica parte, con la batteria di papà e il suo simbolo tatuato sul braccione. tra l'altro, vabbè la sfiga di rimanere orfano, ma vuoi mettere, poter dire: "sai, ho suonato insieme agli amici di papà" e il tuo papà era john bonham?
sarà per quello che i tre zeppelin superstiti non hanno voluto presenziare personalmente alla reunion, ma hanno mandato altrettanto validi impersonators al posto loro:
al posto di john paul jones c'era lance heriksen, che finalmente si scrolla di dosso il cliché di essere ricordato solo per essere stato l'androide cattivo di alien:
ottimo, come sempre, anthony hopkins, stavolta nella parte di robert plant. menzione speciale per la parrucca, che una sapiente tintura ha mantenuto il color oro dei riccioli originali:
e infine, stranamente scelta non come cantante ma come chitarrista, susan boyle al posto di jimmy page. una menzione speciale, ma in questo caso negativa, di nuovo per i parrucchieri, che hanno disastrosamente sbagliato tinta e l'hanno fatta tutta bianca:
spiace per chi non c'era: ma potete sempre comprare il dvd.
Perché tu non vieni insieme a noi?
In paese, fra la gente insieme a noi?
In quella cascina, così solo, cosa fai?
La domenica la messa finalmente sentirai.
No, non mi va: preferisco restare qui.
Ho la vacca ed il maiale, non li posso abbandonar così.
Pompar l'acqua dal canale, poco fieno nel fienile, troppo da fare.
Prepararmi da mangiare, un'occhiata sempre all'orto,
quando è sera stanco morto mi diverto solamente a dormire.
Sì ma non è vita questa qua:
se ti compri il vestito della festa,
chissà, potresti anche far girar la testa.
E se poi non ci riesci,
appena fuori dal paese c'è la giostra.
No, non mi va, preferisco restare qua.
Io in paese ci ho vissuto già qualche mese:
se di notte fai un passo con la lingua che è un coltello
ti tagliano gli abiti addosso.
E se parli a una ragazza che è già stata fidanzata
loro ti mettono due timbri: ruffiano e prostituta.
E se qualcuno non difende i suoi interessi con le unghie e con i denti
è degradato ad ultimo dei fessi - per non dire: degli impotenti.
Avrai anche un dancing per ballare
e poi un biliardo per giocare
No, non mi va, avrai un'osteria dove tu puoi bere
molto meglio restare qua.
non voglio entrare in mezzo all'invidia e poi il televisore da guardare,
e la perfidia non voglio stare potrai anche peccare se lo vuoi!
a duellar fra gelosie, sporche dicerie
e bigottume delle dolci e care figlie di Maria.
E la politica del curato contro quella della giunta
tutti lì a vedere chi la spunta.
E sorrisi e compromessi e fognature dentro i fossi...
No, no, io non ci sto.
No, no, io non ci sto.
Io non posso parlare solo di calcio e di donne,
di membri lunghi tre spanne non posso parlare.
Di tutte le corna del droghiere
e dell'ulcera duodenale del padre del salumiere,
non posso parlare!
Potrai avere un giorno anche dei figli!
Per poi farli diventar così!? Preferisco allevar vitelli e conigli!
esco di casa, la mattina per andare in ufficio, giusto in orario per sentire il gr regionale su radio1, al cui termine cui segue immediatamente il gr2 nazionale, ovviamente su radio2. ma siccome le notizie nazionali, tutto sommato, sono le stesse che ascolto da rainews24, mentre faccio colazione, da qualche giorno alla fine del gr regionale commuto l'autoradio su "cd" e ascolto un po' di buona musica. anche perché le notizie in genere son deprimenti, e una dose giornaliera mi basta e mi avanza.
e da stamattina ho deciso che anche delle notizie regionali potevo fare serenamente a meno, con tutte le storie di fabbriche che chiudono, aziende che non pagano gli stipendi, boschi che bruciano, eccetera. e quindi son partito con l'autoradio a palla:
ora, non che i pink floyd siano esattamente un'iniezione di buon umore. per restare nell'esempio:
Hey you! out there in the cold
Getting lonely, getting old, can you feel me
Hey you! Standing in the aisles
With itchy feet and fading smiles, can you feel me
però i due versi finali restituiscono un po' di speranza (sicuramente più di quella che pretende vendola col suo polo di lourdes):
Hey you! don't tell me there's no hope at all
Together we stand, divided we fall.
ed è tutta qui la differenza tra lamentarsi sterilmente, o fare odiose captationes benevolentiae, e fare qualcosa di costruttivo: condividere il proprio disagio in maniera da sentirsi meno soli e riacquistare così la speranza: se non sono solo a sentire questo disagio, può darsi che qualcuno nelle mie stesse condizioni abbia un'idea brillante per venirne fuori, o magari ha già trovato una soluzione che io ignoro - ma comunque è evidente che è solo lavorando insieme che se ne viene fuori.
e infine, c'è chi riesce a trasformare il disagio in arte, attraverso la catarsi del proprio malessere interiore. e anche quello è un buon modo di sentirsi un po' meno soli. ma solo un po'.
ecco: finché in italia non vedrò qualcuno che preferisce agire collettivamente, piuttosto che toglierselo dal culo solo per metterlo in quello del vicino, io preferisco consolarmi con l'arte.
questo è il programma della festa nazionale della giustizia, che si sta tenendo ad abano terme (mi) (no, non è vero, la provincia è padova, ma chi legge davide la rosa capirà :-D). tutto molto bello, direbbe bruno pizzul: a partire dal logo giallorosso che indispettirà i laziali (ma tutto sommato se lo meritano), per proseguire con l'elegante "operazione" che fa da spiegone allo slogan "la matematica non è un'opinione" (ma la giustizia a quanto pare sì), per continuare ancora con il nutrito elenco degli ospiti illustri chiamati ad esporre le idee del pd su giustizia e altri temi di scottante attualità, come si direbbe.
ad aprire la serie degli incontri, noblesse oblige, la presidente del partito, tal rosy bindi che recentemente si è espressa sui matrimoni gay con un piglio, e soprattutto delle argomentazioni a favore delle proprie opinioni, degne del miglior berlusconi dopato. o, se preferite, di bossi in condizioni standard.
sabato 28, alla stessa festa (ma che cazzo c'avranno da festeggia', mi domando?), anna paola concia presenterà il suo libro la vera storia dei miei capelli bianchi. si legge nella succinta presentazione sul sito della ibs:
Paola - deputata del PD e unico parlamentare
italiano dichiaratamente omosessuale - si muove in politica [...] con un obiettivo chiaro: costruire, in Parlamento ma soprattutto
nel Paese, uno schieramento e un tessuto sociale disponibili a
condividere le nuove, fondamentali battaglie sui diritti civili.
ecco: un partito che riesce a far coesistere al suo interno rosy bindi e anna paola concia senza che nemmeno gli venga in mente (dove gli si riferisce all'entità pd personificato nei suoi più alti dirigenti) di star facendo un casino della madonna e senza ammettere che hanno perso qualsiasi senso della realtà è destinato a una meritata estinzione.
ma sparatevi. anzi, no: prima andatevene affanculo.
facciamo subito un esempio concreto: passi in ufficio gran parte della tua giornata, facendo un lavoro di poca - se non nulla - soddisfazione e per giunta mal pagato; poco ti consola sapere che quasi tutti i lavori ormai sono mal pagati, hai una formazione per cui se fai bene e onestamente il tuo lavoro, prima o poi ottieni una promozione o/e un avanzamento e via via guadagni sempre di più, e mal ti adatti al fatto che invece, dopo quasi trent'anni di lavoro, il potere di acquisto del tuo stipendio si è sostanzialmente e sostanziosamente ridotto.
nondimeno, sei una persona positiva e aperta a pressoché qualsiasi stimolo: ti piacciono l'arte e la natura, ti piace tutto quello che è cultura e ti piace imparare, quindi saresti propenso a spendere il tuo tempo libero all'aria aperta e possibilmente assistendo a uno spettacolo, o magari visitando una città d'arte. hai anche una moto, quale mezzo migliore, d'estate, per spostarsi e godere delle bellezze del paesaggio?
(lo vogliamo sottolineare che in questo periodo c'è il festival di umbria jazz?)
il fatto è però che il pieno per la tua moto, - che pure non è delle più sprecone - come pure un biglietto per un concerto, o una cena in pizzeria con un'amico/a, costano. spesa minima: venti euro per ciascuno dei divertimenti elencati, e adesso anche venti euro in meno, nel tuo bilancio personale, si fanno sentire. quindi, ne fai a meno.
senza parlare del fatto che praticamente vivi sul filo del rasoio, perché già gli impegni mensili standard stanno diventando fuori portata, figuriamoci se dovesse arrivare qualcosa di improvviso da dover fronteggiare.
ma la cosa non riesce ancora a deprimerti, perché in fondo in fondo sei un ottimista, e poi sei così innamorato e fiducioso che tutto per voi si risolva nel migliore dei modi, che il tempo lavora per voi, che davvero a diventare di malumore non ci riesci.
poi succede che apri un sito internet di informazione, che sia il sito di un giornale o un blog, la differenza è poca, sta tutto nell'interpretazione che dai alle notizie. e ogni santo giorno ti tocca leggere che i padroni chiagnono e fottono, che il governo lavora solo per le banche, che gente senza alcuna qualifica né cultura né preparazione guadagna migliaia di euro al mese per via di incarichi pubblici, che altre riescono a far parlare di sé solo per il fatto di essere biologicamente dotate di apparato riproduttivo e capisci, lì sì, capisci, che sei tu quello che vive in una realtà separata e da cui sei e sarai sempre escluso, per formazione, forma mentale, sesso ed età.
e allora sì, ti prende al collo una sensazione che è un misto di rabbia, desolazione, sconforto, desiderio di rivalsa (se non di vendetta), impotenza.
dice il commento: e poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare
e che, non era venuto in mente anche a me? è il brano finale del disco citato nel post precedente e quindi era la logica conclusione di tutto il discorso - tutto cerebrale - che poi, ovviamente, andava trasportato dal piano generale a quello personale, e confrontato con la costante revisione al ribasso delle aspettative e al sostanziale tradimento delle stesse: se c'era una cosa in cui io ho mai dimostrato un qualche talento era la musica, ma mi ritrovo a fare tutt'altro, e non da oggi. come questo sia connesso con i mali pluridecennali di una società, lo so solo io - e forse qualcun altro - ma voi che non lo sapete, fidatevi.
vabbè, dirà qualcuno, campare dignitosamente di musica, ci riescono in pochi, e quegli altri che ci sopravvivono, lo fanno a costo di una serie infinita di compromessi, è storia nota, e comunque ormai è andata come è andata: potresti semplicemente suonare per il piacere tuo e di chi ti ascolta. ed eccoci all'acqua, come si dice in toscana: il piacere di chi ascolta sì, vabbè, purché il pubblico sia severamente selezionato. e sticazzi: visto che, a quanto pare, una remunerazione non è prevista, voglio il privilegio di scegliermi il pubblico. ma poi, del mio piacere, ne vogliamo parlare?
ho fatto su feisbucc una dichiarazione che riporto:
sempre di più coltivo le similitudini tra sesso e musica. adesso, nel guardare filmati di keith jarrett, consideravo quanta bellezza e soddisfazione c'è nell'interiorizzare un brano e saperlo interpretare ogni volta in maniera nuova e originale, come fa un jazzista bravo; e pensavo che smettere di studiare prima e di suonare poi è stato un po' come tagliarsi le palle da sé: l'emozione di suonare insieme non è sostituibile né surrogabile, e mi manca. ma poi ho riflettuto che, anche nel periodo in cui mi ero rassegnato a non avere più una donna, far sesso mi mancava, sì, ma puramente in astratto, visto che non c'era un soggetto che conoscessi e con cui valeva davvero la pena farlo. e con la musica è lo stesso: mi manca, ma in maniera del tutto astratta; le occasioni in cui la magia si è concretizzata sono state davvero poche, nella mia vita, tanto poche da non lasciare nemmeno rimpianti veri. dopo un po' nemmeno suoni più da solo. le chitarre stanno là a prendere la polvere (non è vero, stanno chiuse nelle custodie :-D) ma - who cares?
a cui son seguiti un paio di commenti, non a caso provenienti dalle persone più care, che dicevano che a loro sì, importa; e io ringrazio, ma non cambio idea per questo, e non è in discussione il fatto di poter continuare a suonare in rare e mirate occasioni in cui è effettivamente un piacere: vuoi perché il pubblico, minimo e selezionato, è veramente attento, vuoi perché chi suona insieme a te ha sempre dato prova di sensibilità e comunanza di intenti e di gusti. una volta di più mi viene in aiuto la similitudine con il sesso: sarà che sesso e musica sono state le sole due cose che nella mia vita mi hanno davvero appassionato e quindi ho con loro lo stesso rapporto, ma trovo che funzioni. suonare da solo, per me stesso sì, capita: imbraccio l'acustica e mi canto quelle due, tre canzoni a cui sono affezionato; ovvero metto su una base midi a palla e faccio finta di essere david gilmour e di avere davanti una platea sterminata in adorazione. ma non è cosa di cui menar vanto, almeno non più di quanto ci si vanterebbe di come siamo bravi a farci le seghe.
suonare è come il sesso: lo puoi fare anche da solo. ma in quel caso ha un altro nome (autocit.).
a questo punto, forse si riesce a capire come e perché non mi vada più di cercare di realizzare, o di inserirmi in, progetti musicali che manifestamente non vanno da nessuna parte, ovvero con gente di cui non condivido né i gusti musicali né la sensibilità artistica. anche qui, è come per il sesso: della scopata una tantum, non so che farmene: il dispendio di risorse è sproporzionato rispetto al ricavato, e non aggiunge niente alle mie esperienze personali se non un incremento al contatore; devo intuire, conoscendo la persona, che ci possa essere una seconda volta e poi una terza e così via, perlomeno avere l'impressione che ci si possa divertire parecchio, intuire che il divertimento potrebbe essere infinito e potrebbe espandersi fin molto lontano. se, al contrario, queste condizioni non si verificano nemmeno in ipotesi, siccome non soffro (più) di mancanza di autostima, non ho alcun interesse a dimostrare che son bravo a chi non sa cogliere la differenza.
perdonerete la presunzione, ma se i porci vogliono le perle, che almeno se le paghino.
Da una cella a questo luogo buio- a venticinque anni la fine! Non avevo le parole per dire cosa mi si agitasse dentro, e il villaggio mi prese per idiota. Eppure l'idea iniziale era chiara, un disegno grandioso e assillante nell'anima che mi spinse all'impresa di imparare a memoria l'Enciclopedia Britannica!
(edgar lee masters, antologia di spoon river)
non al denaro, non all'amore né al cielo è un disco del 1971, ed è uno dei primi lp che ho posseduto. come molti sapranno, è liberamente tratto dall'antologia su citata: de andrè prese nove delle poesie dell'antologia e le rielaborò, adattandole alla sua contemporaneità (l'antologia è del 1915).
a dodici anni, magari non avrò compreso fino in fondo di cosa si parlasse, ma diversi fattori hanno concorso a far sì che il disco mi si imprimesse nella memoria in modo permanente, tant'è che ancora oggi, dopo quarant'anni, ne ricordo ogni virgola, ogni nota e ogni sospiro. e mettiamoci pure che uno dei motivi è "ho dieci dischi in tutto e quindi per forza di cose suono sempre quelli fino alla consunzione", ma se qualcosa non ti piace, prima o poi te la dimentichi.
e capita che, strimpellando, ti torni alla mente e alle mani una successione di accordi che - eh sì era proprio quella lì, e un po' per gioco e un po' per rispetto ti ritrovi a cantare e suonare, cominciando dall'inizio, perché è così che si fa. solo che oggi hai passato la cinquantina e di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, acqua che lascia il segno anche sui piloni di pietra, acqua che tante volte ti ha reso simile ai personaggi di cui canti le storie fin da ragazzino, quando non capivi proprio fino in fondo che cosa stessi cantando.
tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole
ma ampliamo la visuale: tu prova ad avere un mondo nel cuore, ad avere anche la parole per esprimerlo e trovare perlopiù chi le tue parole non le ascolta, oppure le prende per lo sfogo infantile di un immaturo.
e la luce del giorno si divide la piazza tra un villaggio che ride e te, lo scemo che passa
invidia o grassa ignoranza, la differenza è poi così significativa? e poi lo sai come continua il disco, col nano diventato giudice (da noi, al massimo poteva diventare ministro) che prova gusto nel mandare a morte i condannati, perché si sente in credito con la vita (Well, don't you think it was natural / That I made it hard for them?). e non è forse l'altra faccia della stessa medaglia? il matto drummond e il giudice lively, due che soffrono per una loro minorazione, ma mentre uno non ha alternative al soccombere, l'altro può compensare le sue mancanze attraverso lo studio, usando però le sue conquiste non per migliorare sé e gli altri, ma come strumento di rivalsa.
finché esisterà un'arma, ci saranno sempre una persona che la impugna e un'altra che viene tenuta sotto la sua minaccia. e l'arma più potente rimane sempre la conoscenza, né esiste peggior modo di usare la conoscenza che quello di cercare di privarne gli altri, cosa che sta accadendo nel mio paese da circa trent'anni, senza che nessuno ci trovi alcunché di strano. ma sì, è del tutto inutile studiare, una coscienza critica è del tutto superflua, e dopotutto posso sapere tutto quello che devo sapere attraverso la televisione. nel giro di una trentina d'anni, per molte persone la tv è andata a sostituire la lettura di libri e giornali, diventando una sorta di tradizione orale (o, se preferite, di telefono senza fili) e costituendo di fatto una forma oracolare attraverso cui conoscere e interpretare la realtà, condannando quindi tanti a un analfabetismo di ritorno che li ha resi stolidi come un gregge di pecore. perché, se è vero, come ha detto frank zappa, che l'informazione non è conoscenza, la conoscenza non è saggezza, la saggezza non è la verità, figuriamoci a cosa può portare l'assenza di informazione, o un'informazione distorta.
e siccome, come si diceva sopra, sai come continua il disco, sai anche che poi viene la storia del blasfemo, imprigionato con un pretesto, perché non ci sono leggi contro la blasfemia, ma sta' sicuro che da qualche parte si troverà qualche cattolico zelante disposto a farti la carità di farti porgere l'altra guancia a suon di manganellate. perché a volte succede che hai un mondo nel cuore, hai anche le parole per esprimerlo, ma di quello che pensi non hai le prove (come anche pasolini), e la rabbia di tutto questo confluisce solo in un grandioso dioporco™, da gridare con quanto fiato hai in gola (La ragione per cui io credo che Dio crocifiggesse Suo Figlio, / per uscire da quel brutto pasticcio, è che ciò è proprio degno di Lui). e qualcuno coglierà certamente la gradita occasione per ricacciarti cristianamente in gola le tue bestemmie, magari insieme ai tuoi incisivi.
e nel giro di un paio di secondi ti fai tutti questi ragionamenti, anche se stai solo a metà della seconda strofa della seconda canzone, e allora ti si strozza il fiato in gola e devi smettere. e concentrare in una lacrima di rabbia tutto questo, insieme al fatto che dopo quarant'anni stiamo ancora a parlare di questo come un problema da risolvere e non come un brutto periodo che ci siamo lasciati alle spalle.
la terza cosa che faccio dopo essermi alzato è accendere la tv, che sintonizzo su rainews24. sì, è un'attitudine piuttosto masochista, ma che ci vogliamo fare? ormai è un'abitudine.
c'è quasi sempre luce tommasi che inizia invariabilmente la lettura delle notizie con "e allora buona giornata, buona giornata a tutti anche dal caffè di rainews" e faccio colazione al suono delle notizie del giorno.
finita la colazione, vado in bagno mentre c'è il collegamento con caterpillar am, che dai microfoni di radio2 lancia il sondaggio del giorno tra gli ascoltatori. stamattina hanno chiesto loro quando avrebbero preferito andare a votare. lascio la porta aperta, così li sento anche da là, e per me è stato motivo di profonda gioia sentire il dialogo che segue, e che riporto a memoria, tra filippo solibello e un ascoltatore:
- buongiorno, chi sei e da dove chiami? - (nome che non ho memorizzato, da località del nord italia che idem) - e tu quando vorresti votare, in autunno o la prossima primavera? - subito, anche domani! - bene. e di che orientamento sei? centro destra, centro sinistra...? - lega! - ma scusa, volete votare adesso che voi della lega siete rimasti in dodici, parlando con rispetto? - eh ma devi considerare che noi siamo sempre noi. non è cambiato il nostro ideale, non è cambiato il nostro modo di fare politica e la pensiamo sempre allo stesso modo. - eh no, un momento. non puoi dire che siete sempre uguali: su berlusconi per esempio avete cambiato idea più volte: prima berlusconi no, poi berlusconi sì, poi berlusconi mafioso... - vabbè, quelle sono scelte, come dire, di mercato: si fanno alleanze con chi ci promette di realizzare il nostro progetto politico.
caro amico leghista, mi dispiace molto che tu non legga il mio blog, perché in considerazione di questa ultima tua affermazione avrei da dirti qualcosa: voi volevate il federalismo, perché i soldi della padania devono rimanere in padania e non finire nelle tasche di roma ladrona; berlusconi voleva solo evitare la galera e continuare col bunga bunga alla faccia nostra. vi siete alleati con berlusconi e la sua cricca di mafiosi, fascisti, zoccole e cocainomani e siete stati al governo insieme a lui per gran parte degli ultimi 18 anni. lui la galera l'ha evitata a colpi di leggi ad personam (che i vostri rappresentanti hanno serenamente votato come se ne andasse del vostro ossigeno) e, già che c'era, ci ha anche fatto regredire di un trentina d'anni; il federalismo, non pervenuto. in compenso, vi sono pervenuti rosy mauro, francesco belsito e le spese allegre del dottor trota (mi sfugge come si dica trota in albanese).
Nonostante in termini assoluti siano in crescita, le entrate tributarie
dei primi 4 mesi del 2012 sono infatti inferiori di 3.477 milioni di
euro rispetto alle previsioni annuali contenute nel Def, il Documento di
Economia e Finanza. La differenza è del 2,9%. È quanto rileva il
Rapporto sulle entrate tributarie della Ragioneria e del Dipartimento
delle Finanze del ministero dell'Economia. A queste mancate entrate
dobbiamo poi immaginare che si aggiungeranno gli effetti del terremoto
con il prevedibile ulteriore calo di gettito, sul fronte Iva e Irpef.
ma pensate: gli stipendi non aumentano, il costo della vita e le imposte invece sì e i cervelloni bocconiani al governo pensavano che in questa condizione sarebbero entrati più soldi. certo, come no.
Benedetto XVI si è rivolto anche alle persone separate: "Una parola - ha
detto - vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli
insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze
dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la
Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. [...]"
tempo fa, una mia amica stava sfogliando una rivista e si soffermò sulla foto promozionale di striptease, film che usciva in quei giorni, che ritraeva demi moore fresca di chirurgia estetica (e probabilmente anche di photoshop):
"guarda quanto è bella", mi fa. e io:
"no. non mi piace"
"non ti piace?! impossibile, guardala: è perfetta!"
perfetta. etimologicamente, perfetto significa compiuto, senza difetti. ma se, nel caso di manufatti, l'assenza di difetti è sinonimo di qualità, nel caso di individui... è semplicemente un ossimoro: se tutti fossimo perfetti, saremmo indistinguibili gli uni dagli altri, e quindi non più individui.
ma, evidentemente, c'è chi apprezza la perfezione estetica anche negli esseri umani, che di per sé è un concetto perlomeno fuorviante (se non del tutto errato), visto che nessuno ha mai stabilito dei criteri universalmente accettati per definire che cosa debba essere esteticamente apprezzabile in una persona; poi c'è da dire che quello che viene perfezionato (ammettendo per un momento che esista la perfezione nell'umano) in maniera artificiosa, e il corpo di demi moore ne è(ra) un esempio, altro non è che un altro argomento a favore della mercificazione dei corpi e delle persone nella loro interezza. l'aforisma all'inizio di zyg degli area (1974) diventa universalmente valido se si tolgono le specificazioni: l'estetica è lo spettacolo della merce; ne consegue che se ti rendi attraente - o per meglio dire attrattivo/a - per finalità che non siano direttamente riconducibili alla seduzione, diventi merce tu stesso/a.
più facile decidere che cosa sia indesiderabile, ma anche là i pareri certamente non sono unanimi: quelli che, negli altri, per qualcuno sono difetti, per me potrebbero essere elementi di fascino e seduzione, e viceversa; quanto alla mia apparenza, preferisco senz'altro la personalità alla perfezione: spesso mi capita addirittura di introdurre volontariamente, nel mio abbigliamento, elementi di asimmetria; oppure indosso serenamente capi che mostrano segni anche evidenti di usura, soltanto perché ne sottolineano l'unicità - l'orlo sfrangiato dei miei jeans è così per via del loro uso, non per accondiscendenza verso una moda che rende fintamente unici capi in realtà tutti uguali nella loro imperfezione di fabbrica.
allo stesso modo, una ruga, una piccola cicatrice, un ricciolo ribelle, un lieve accumulo incoercibile di adipe, le piccole imperfezioni che rendono unica una persona le si legano indissolubilmente, andando a far parte delle sue caratteristiche peculiari, quelle che affiorano per prime alla memoria, quando cerchi di figurarti qualcuno che non vedi più da tanto: tu avevi una macchiolina nell'occhio, mentre tu avevi l'illice più lungo dell'alluce; tu avevi un seno più grande dell'altro, e tu avevi una macchia della pelle esattamente dove ce l'ho anche io. e tu, demi? tu eri troppo perfetta, di te non riesco a ricordare niente.
ho scritto pochi giorni fa che se mi avessero invitato a un concerto de le orme avrei detto anche no, grazie. vabbè, ho esagerato, se non costa troppo ci vado volentieri, se non altro per sentir suonare di nuovo quello che ho sentito quarant'anni fa e, a quanto pare, con lo stesso entusiasmo di allora:
certo, si può argomentare che da quarant'anni a questa parte non è che abbiano detto granché di diverso e anzi, che il diverso che hanno detto dopo non era all'altezza di questo; che michi dei rossi fa sempre lo stesso assolo di batteria da quarant'anni e passa; che la formazione sarà stata anche la stessa di emerson, lake & palmer, ma non gli somigliano nemmeno lontanamente, eccetera. argomentiamo pure, ma felona e sorona è stato il primo lp dichiaratamente rock che mi son comprato, e quindi se le orme me lo risuonano dal vivo tal quale a quarant'anni fa, io a sentirle ci andrei, anche solo per affetto.
è vero: se lo paragoniamo ad altri lavori contemporanei della scena prog internazionale, felona e sorona suona irrimediabilmente velleitario e naif, e a leggere la lista degli album usciti nello stesso anno, viene il capogiro: selling england by the pound dei genesis, brain salad surgery di emerson, lake & palmer, larks' tongues in aspic dei king crimson, yessongs e tales from topographic oceans degli yes e, per rimanere in italia, arbeit macht frei degli area e photos of ghosts della pfm - e questo solo per quel che riguarda il prog rock. se avete voglia di leggervi la lista completa, consultate qui; ricordo solo, en passant, che il 1973 è stato anche l'anno di the dark side of the moon. però dai, considerando il provincialismo e l'approssimazione che affliggono l'italia da sempre (per non dire della cialtroneria), è stato un prodotto più che dignitoso, e secondo me il miglior album de le orme.
e quindi, nell'anniversario della nascita di robert moog, direi che questo può essere un degno festeggiamento. enjoy:
l'unica risposta possibile a questa domanda è "bene", nelle sue varie declinazioni: "bene, dai", "bene, grazie", "tutto sommato bene", eccetera. perché se stai una merda, di solito gli altri lo sanno o perlomeno si vede, e domandare è pleonastico, quando non offensivo. allo stesso modo, se la risposta più onesta sarebbe "bene, ma...", in realtà è una risposta che non si dà quasi mai, perché quelli che ci conoscono bene sanno già tutto e per loro basta un breve aggiornamento, e agli altri non val la pena di stare a raccontare miserie e contrarietà, a meno di avere un carattere incline all'autocommiserazione.
ma quando è il tuo amore che ti domanda "come va?" non è una generica richiesta di informazioni superficiali, e allora c'è bisogno di una risposta molto circostanziata e che scenda a scandagliare le profondità dell'animo.
sto bene, sto benone, roba che fa pure rabbia. se stessi male, potrei
consolarmi col fatto che sì, non faccio più un cazzo, ma tanto sto
male, nemmeno ne avrei voglia. e invece sto benone, mi sento un leone. ma in gabbia. di roba interessante, in giro, ce n'è quanta ne vuoi; per me il problema è casomai che non mi posso più permettere un cazzo, ma questo già lo sai ed è inutile tornarci sopra. se no, basta andarsene un pomeriggio al mare, o a esplorare i monti qua intorno; una cavalcata in moto, una visita a un amico, un cinema in compagnia. piccole cose, mica si pretende il weekend a st. tropez; ma ormai son diventate fuori portata anche quelle.
guarda, la realtà di qua è deprimente, questo è un fatto: terni è una delle città più tristi che ho mai visto. ma stigrancazzi, io non sono così e tanto mi basta: sono pronto a cogliere qualsiasi opportunità per ravvivarmi, solo che son costretto a evitare di spendere, e questo è frustrante, ché diventa un circolo vizioso. mi sento una molla compressa, evito di dar sfogo all'energia repressa in senso negativo perché so che mi farei solo male. ogni tanto viene l'impulso di prendere a sganassoni qualcuno, o anche solo a male parole, ma non avrebbe altro esito, e poi mi spieghi che minchia di sfogo è? me ne trattengo perché porterebbe solo conseguenze negative, e poi è uno sfogo del cazzo: lascia il tempo che trova e non aggiunge niente alla situazione.
come venir fuori da tutto questo, da questa quotidiana guerra di trincea? perché vivere, ormai, per quelli come noi, questo è diventato: una guerra di posizione, dove
per conquistare un metro possono essere necessari anche sacrifici
ingenti. ma
più che ai nostri soldati della prima guerra mondiale, troppo spesso
plagiati dalla propaganda nazionalista e da dosi massicce di grappa,
penso come paragone ai guerriglieri vietcong, ai resistenti
all'invasione yankee, che hanno dimostrato la loro superiorità con la
conoscenza del territorio e con la capacità di sopravvivere anche in
condizioni disumane. ma motivati, cazzo. perché quella era casa loro, e quei figli di puttana se ne dovevano andare.
e la mia motivazione sei tu, la possibilità che intravedo, attraverso le nostre miserie, di avere domani una vita insieme che non sia solo sopravvivenza e guerra di posizione. magari non dopodomani, ché non sono più un ragazzino.
il fatto, in sé, conta poco, quante volte lo si sente dire? e solitamente, infatti, una singola contrarietà, presa da sola ed estrapolata dal suo contesto, ma anche al suo interno, ha una rilevanza del tutto relativa, anche quando assume i contorni della batosta. ci si riprende anche dalle batoste: se ne uscirà magari diversi, ma ci si riprende.
il fatto è che nessun evento è mai puntiforme, allo stesso modo che nessun terremoto scoppia all'improvviso senza qualche scossa di avvertimento, o almeno senza una causa scatenante che abbia lavorato per anni, decenni, e abbia fatto da premessa all'esplosione. però, il lavoro di caricamento rimane sotterraneo e invisibile ai più: proprio come i terremoti, gli sbroccamenti delle persone non si possono prevedere. ci vorrebbe che ciascuno di noi avesse un osservatore esterno che ci seguisse e segnalasse agli altri che la soglia di attenzione per quell'individuo comincia ad essere elevata, magari così qualcuno eviterebbe di salirgli sui testicoli con gli scarponi chiodati. e invece no.
vabbè, tutto questo per dire cosa? che l'episodio che adesso vi racconto, in sé, conta poco, appunto, ma mi ha dato modo di riflettere: ieri sono andato a trovare i figli, a casa della mia ex moglie; visita non programmata, ma c'era da aiutare il pargolo per via di un compito particolare che presupponeva competenze di informatica. solitamente, parcheggio nella stradina dietro casa sua, che è senza uscita e anche piuttosto stretta: siccome c'è sempre la fila di auto parcheggiate, più di uno alla volta non ci si passa. a un certo punto esco per fare delle commissioni e vedo che, là dove la stradina fa angolo per ricongiungersi poi con la strada principale, c'è una punto ferma davanti al cancelletto di un'abitazione, con una persona seduta al posto del passeggero, che bloccava la stradina in maniera totale. mi fermo e attendo pazientemente, perché cerco sempre di mettermi nei panni altrui e penso che se io avessi fatto una cazzata simile, l'avrei fatta solo spinto dalla necessità e nella assoluta certezza che avrei spostato l'auto nel giro di un minuto al massimo. tipo: cazzo non ho preso gli occhiali. faccio un salto.
invece, di minuti ne passano due e anche tre, al che mi permetto di dare un paio di colpi di clacson. tanto, là son tutte casette a due piani, l'improvvido autista sicuramente avrà modo di sentire. e poi avrà anche la coscienza sporca e le orecchie dritte, no?
no. nel frattempo, alle mie spalle arriva un'altra auto, il cui conducente, senza por tempo in mezzo, scende e va a chiedere lumi all'occupante della punto. dopo un breve scambio di battute, si apre la portiera e ne scende un anziano che, con grande lentezza e appoggiandosi al cofano, fa il giro dell'auto, si mette al posto di guida e infine sposta il tappo a marchio fiat. e la cosa non si è nemmeno risolta così, perché da dietro l'angolo provenivano altre due auto, nel senso contrario al mio, e quindi c'è stato bisogno di tutto un balletto di auto avanti e indietro passi di qua che io passo di là aspetti alzi una ruota ché così io ci passo sotto e alla fine ce l'abbiamo fatta a farcela.
qualcuno dirà: perché non sei sceso prima tu, a domandare per quale minchia di motivo bisognava tenere bloccata la stradina? giusta osservazione, tant'è che me la son fatta io prima di voi, questa domanda. e mi son risposto che non l'ho fatto perché se no avrei mandato affanculo, e anche con grande enfasi, il vecchiotto, il suo presunto figliolo che lo abbandona dentro un'auto che blocca tutto il traffico, trentasei dei suoi parenti ancora in vita, la sua intera schiatta da oggi e fino alla settima generazione indietro e quelle prossime venture, la cittadinanza tutta, la punto, tutta la fiat con marchionne a fare la locomotiva e su su fino al di(.)p(.)rc(.) che, statene certi, mi avrebbe sentito.
troppo? eh, lo so. in fondo, che è successo mai? ho solo aspettato tre-quattro minuti dentro un'auto. non avevo particolarmente fretta, non c'erano urgenze da soddisfare, non pioveva nemmeno. il fatto è che, nella giornata (che era un lunedì, lo ricordiamo, e nella fattispecie un lunedì di quelli che il giorno prima mi tocca abbandonare l'amore mio), l'evento era stato preceduto da:
- telefonata della ex moglie (per darvi un'idea di quanto le gradisca, le ho assegnato come suoneria l'inizio di thriller) che mi istruiva sugli eventi del pomeriggio e non perde l'occasione di raccontarmi le sue personali peripezie (e sticazzi non me ce lo metti? ti dò una notizia: non siamo più sposati da sette anni);
(da 0'33" a 0'45")
- spesa affannata alla coop, di corsa perché figlia2 veniva abbandonata da sola in casa dalle due e mezza e fino al momento del mio arrivo;
- passaggio forzato per casa a recuperare un mouse perché l'allegra famigliola ha deciso di poterne fare a meno e io no;
- accompagnamento di figlia2 a lezione di danza;
- altra telefonata di ex moglie che avverte che la babysitter non sarà a casa prima delle otto e un quarto (daje);
- passaggio al super perché c'è da comprare la cena per i pargoli poi-ti-ridò-i-soldi (see, credeghe ai ufo);
- sedazione estemporanea dei vari conflitti generazional-ormonali tra fratello e sorella;
- combattimento strenuo contro il notebook dell'allegra famigliola (li detesto).
certo, certo, siamo ancora nell'ambito delle stronzate: quisquiglie, pinzillacchere, avrebbe detto totò. il fatto è che è uno stillicidio quotidiano di gente che non ti dà la precedenza, di idioti che ti sorpassano e poi ti rallentano davanti, di posta che non ti viene consegnata, di fornitori accidiosi, di uno stipendio che non arriva mai alla fine del mese, di tanti chilometri da fare ogni giorno, di una lontananza amorosa che non è facile da sopportare, di una mancanza di prospettive che ormai è cronica. e per non sbroccare contro chi non ha altra colpa se non quella di essere arrivato alla fine di questa lunga fila di contrarietà, ci vuole un grande, grandissimo esercizio di autocontrollo.
domenica figlio1 va ad assistere al suo primo concerto. sì, vabbè, è vero, due anni fa lo avevo portato a vedere elio e le storie tese, gli è piaciuto, ma non lo ha entusiasmato; domenica va a vedere il suo gruppo preferito, e questo è quel che fa la differenza. non importa che i rocchettari in questione abbiano quasi l'età di papà: l'atmosfera del concerto allo stadio, la trasferta, la serata storica (proporranno per la prima volta dal vivo, per intero, il loro disco più famoso) sono ottime premesse per un imprinting notevole.
anche io ho visto il mio primo concerto a 12 anni. una specie di matinée alle quattro di pomeriggio, di novembre, a teatro; suonavano le orme, precedute da mauro pelosi, cantautore di cui ho presto perso le tracce. e si dirà: sticazzi, le orme! certo, concordo. adesso, a 52 anni e dopo aver visto qualche concertuzzo, se qualcuno mi propone di andare a vedere le orme gli dico anche no, grazie. ma quarant'anni fa, il ragazzino affamato di musica che ero sarebbe andato a vedere pure il corrispettivo di gigi d'alessio, pur di sentir suonare dal vivo. di andar fuori città per assistere a un concerto di pulciosi capelloni, non se ne parlava proprio, e questo è il motivo (oltre a una disponibilità economica cronicamente scarsa) per cui mi son perso qualsiasi cosa fosse possibile perdersi: non parliamo dei led zeppelin a milano (ero infante!), ma pure di tutti i concerti del parco lambro, o delle incursioni italiane di frank zappa, pink floyd, genesis. mi son preso una parziale rivincita da adulto, andando ai concerti di diversi singoli componenti dei gruppi storici del rock: peter gabriel, robert plant, steve hackett, sting, david byrne, robert fripp. ve lo dirò, non è lo stesso. ma fa curriculum.
buon concerto, giac. divertiti, fai tante foto. e magari chiamami quando attaccano enter sandman e fammene sentire un po'.
vi faccio vedere la prima pagina di un giornale di cui non condivido nemmeno il fatto che si consumino i denti delle motoseghe che abbattono gli alberi per fare la carta che serve per stamparlo, per un motivo molto semplice: per un lapsus bellissimo che corradino mineo, direttore di rainews24, ha fatto stamattina durante la rassegna stampa: invece che la marcia su monza, ha detto la marcia su norcia.
io non sono bravo in queste cose, ma già freud sosteneva - secondo me a ragione - che dietro ogni lapsus o atto mancato c'è sempre un'intenzione non dichiarata, un pensiero non esplicitato. e allora, mettiamo insieme gli elementi che abbiamo: tra monza e norcia ci corre un abisso, e non solo in termini geopolitici: linguisticamente, hanno solo in comune due vocali e il fatto di essere entrambe bisillabe, ma ci sta che ti impappini e riesci a dire norcia perché un attimo prima hai detto marcia. ma che cosa è stato che ha suggerito norcia a mineo? appena sotto il titolo c'è il profilo di berlusconi, che è quello che dovrebbe marciare su monza. o su norcia. e cosa si fa a norcia? la parola norcineria vi fa venire in mente niente...?
...mi sono rotolato sul divano in preda al convulso.
la festa della liberazione, l'ho passata tutta insieme ai figli. prima di pranzo c'è stato un simpatico siparietto in cui figlia2 ed io abbiamo improvvisato una coreografia su musica di fatboy slim, mentre il pranzo è stato allietato dalla visione di total wipeoutcon commento musicale casuale che proveniva dall'altra stanza ma che si è rivelato azzeccatissimo in più momenti.
dopo pranzo, è stata accolta con estremo favore la mia proposta di andare a fare i compiti all'aria aperta, approfittando del lento ritorno del sole. e i compiti li abbiamo anche fatti, tra una gara e l'altra di equilibrismo a cronometro su tondino di ferro (prossima specialità olimpica), finché a un certo punto, visto che figlia2 continuava a perdere tempo piuttosto che liberarsi rapidamente delle incombenze e invece figlio1 aveva finito, lui ed io siamo andati a far due passi.
e là mi sono accorto che giacomo è diventato una delle poche persone con cui parlo, laddove intendo il verbo nel suo significato più stretto, visto che passo per una persona estremamente silenziosa. e in realtà è così: ho imparato a risparmiare il fiato per riservarlo a chi è disposto ad ascoltarmi. è presunzione, la mia? può darsi. il fatto è che presuntuosamente penso che anche quando parlo di cose comuni, le condisco comunque con il mio sentire, e il mio sentire non è mai banale, né posso certo pretendere che tutti lo condividano. ecco, allora mi arrogo il diritto di scegliere il mio pubblico, diciamo.
a giacomo parlo senza inibizioni, soprattutto senza quella che per me è la più grande, cioè quella che mi impedisce di parlare, coi più, di cose quotidiane o comunque di rilevanza relativa, perché detesto le ovvietà e non mi va di ribadire che non ci sono più le mezze stagioni solo per compiacere l'horror vacui del mio interlocutore. lui è curioso di tutto e quindi tutto diventa un argomento di conversazione - dieci minuti spesi solo commentando un tizio in parapendio - e non fa mai domande non pertinenti. sappiamo entrambi che il suo e il mio sono mondi lontani, ma tutti e due ascoltiamo le storie dell'altro senza pensare "che stronzata".
l'altra è forse più piena di sé, meno propensa a mettersi in discussione, anche quando è evidente che, nella vita, lei è solo una praticante mentre altri hanno già decenni di esperienza. però in una cosa è maestra assoluta: nel fare domande che necessitano di una risposta complessa dal sedile posteriore dell'auto. ha cominciato ad anni cinque con "ma perché tu e la mamma vi siete separati?" e prosegue la tradizione ieri con "ma perché tu non credi in dio?".
insomma, se dovesse venir fuori una compagine di partigiani che decidesse di andare sui monti, ho paura che dovrei declinare l'eventuale invito causa limiti di età. facevamo che la mia resistenza la faccio cercando di far restare i miei figli svegli, critici e consapevoli? e magari trovando il tempo per due stronzate divertenti.
ora, ci sono un paio di cose che continuano a ronzarmi nella mente anche se dovrei averle superate. e da un punto di vista - diciamo - psicoanalitico, le ho superate: il dolore che mi provocavano l'ho affrontato e sconfitto, ma, una volta di più, sapere che l'ho in culo non aiuta, se la consapevolezza non serve a rimuovere gli ostacoli. che invece se ne stanno lì belli indisturbati.
conversazione immaginaria:
"mi hai nel culo"
"lo so. ma non è colpa mia"
"lo so. ma mi hai nel culo lo stesso"
"e non te ne vai?"
"no."
è che il passato non si può cambiare (you don't say!?), in compenso il passato a volte (spesso) cambia te.
correva l'anno 2005 quando comunicai all'allora vivente genitore la mia decisione di emigrare in francia. come ogni democristiano di razza, spostò da subito il punto della questione dall'ambito squisitamente materiale della faccenda (che era l'unico che contasse e che mi aveva spinto a prendere tale decisione) a quello filosofico-morale, cioè là dove lui si sentiva inattaccabile, sentendosi una specie di abramo lincoln de noantri, un'autorità morale ineccepibile nei pensieri, nelle parole, nelle opere e nelle omissioni. il fatto è che mi sentivo e mi sento ineccepibile pure io, e infatti ho avuto gioco facile nel tenere il punto contro le sue argomentazioni, perché - eccheccazzo - se restiamo nel campo delle opinioni, le mie valgono quanto le tue. il bel finale della conversazione (durante la quale, come è ovvio immaginare, scagliò contro di me qualsiasi anatema) fu che, vistosi sconfitto sul piano teorico, ribaltò di nuovo i termini della questione riportandola sul piano pratico e finalmente sentenziò: "tu sei sempre stato troppo innamorato della filosofia". la mia replica fu: "dammi un'alternativa praticabile". il suo silenzio fu il colpo di gong che segnalò la fine dell'ultimo round.
ma vaffanculo, caro papà: te lo dico di tutto cuore e senza astio, e non soltanto perché poi io ho fatto quel che volevo fare e pure a cuor leggero, né mi sono mai sentito in colpa per averlo fatto, ma perché la storia poi ha anche dato ragione a me, nel senso che emigrare in un paese civile, in quel momento storico, era la scelta vincente, e rimanervi sarebbe stato ancor più saggio, ma son dovuto tornare mio malgrado. inoltre, al mio ritorno, ho anche trovato quel che ho trovato: nel senso che, alla morte di abe lincoln, s'è scoperchiato il vaso di pandora delle cazzate che aveva combinato, che comportavano un'eredità fatta di un appartamento del quale si era guardato bene di fare donazione ai figli anche se sapeva di avere un cancro (e per inciso anche quasi ottant'anni, ma si sa, abe lincoln è immortale per definizione), ma anche e soprattutto di cinquantamila euro (dicansi cinquantamila. euro.) di debiti contratti per l'acquisto a rate di libri similpregiati, inutili e incommerciabili. per dare un'idea meno approssimativa della questione, lui, parastatale pensionato con una rendita di 1300 euri al mese, pagava alle varie finanziarie un totale mensile di 700 euro. in compenso, aveva prestato alla sua amante (definizione di amante per me che non son moralista: lui era vedovo, ma lei no), nel corso degli anni, un totale di 110 milioni di lire. un po' alla volta, lei aveva cominciato a restituirli, finché alla morte di abramo era rimasto un credito di 32.000 euro. la signora, al funerale, mi si avvicinò e disse che dovevamo parlare, bontà sua, e si impegnò a continuare a rimborsare, sempre un po' alla volta. dei trentadue ne ho rivisti quattordici, ma da un paio d'anni la tipa si è dileguata, e siccome il prestito era stato fatto sulla fiducia e sull'onore (rido), non ho alcuna pezza d'appoggio su cui poter far conto, quindi immagino che posso dire addio ai miei (nostri: miei e di mia sorella) diciottomila euri. per non parlare dei trentamila che abramo aveva investito in bond argentini. ah ne ho parlato? bè, ne son tornati a casa solo novemila.
insomma, il campione della moralità aveva fatto un casino puttano, mentre questo improvvido egoista irresponsabile che scrive, se morisse oggi, se non altro non lascerebbe debiti ai suoi eredi. per dire, nel conto corrente del campione di rettitudine non c'erano nemmeno i soldi per pagare il funerale. il fatto è che io sarò anche troppo innamorato della filosofia (frase che poi ho risentito in bocca alla mia ex moglie... e anche là avrei da togliermi un sassolino dalla scarpa... ma questa è un'altra storia. no, è la stessa con altri protagonisti, vabbè), ma poi nella pratica non solo so cavarmela meglio di tanti praticoni ghepensimì, ma ho anche la vista più lunga di tanti altri che passano per previdenti solo perché hanno paura di qualsiasi cosa sia a loro ignota e a te che osi danno del pazzo incosciente.
responsabile, etimologicamente, significa "capace di dare una risposta", il che presuppone che qualcuno abbia fatto una domanda. ora, se la risposta che vi dò io non vi piace, siete padroni di non seguirne il consiglio, ma poi non rompete il cazzo quando, per seguire quello della risposta che vi piaceva di più, vi ritrovate con le pezze al culo. e sai che c'è? che sapere che avevo ragione io ma ritrovarmi con le pezze al culo lo stesso, non mi consola per un cazzo. proprio per un cazzo.
è vero, sospiro tanto. mò che il mio amore me lo ha fatto notare, ci faccio caso e sì, ogni tanto (ma direi ogni poco) tiro un sospirone. roba che l'amore mio, sempre timorosa di non essere sufficientemente, aveva paura che io mi stessi annoiando e manifestassi così la mia insofferenza ma no, no. sospiro e puffo anche da solo, anche mentre non faccio niente, anche mentre non penso a niente.
o magari penso a qualcosa e non lo so.
sarà che c'è un'aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria o che ne so io. il fatto è che sicuramente c'è poco da stare allegri, anche e soprattutto perché son tutti capaci a lamentarsi, perché di lamentele ognuno c'ha la sua da fare, ma poi tutto finisce là.
stamattina mi sono sciroppato un'ora di cammino, dall'officina dove ho lasciato l'auto all'ufficio. sette chilometri e rotti, poi, quando ormai ero in dirittura d'arrivo, arriva alle mie spalle una collega e mi dà l'ultimo strappo. questo ovviamente mi costerà la squalifica come a dorando pietri, ma mi ha fatto anche riflettere sul fatto che non mi era venuto in mente di domandare alla collega medesima se avesse potuto darmi un passaggio, visto che solitamente arriva in ufficio all'ora che sono arrivato stamattina (tardissimo, per i miei standard). orgoglio? ce-la-posso-fare-da-solo? no, è che sono abituato a pensare che esista un servizio pubblico e che magari abbia anche un certo livello di efficienza.
sbagliato, per fare sette e rotti chilometri avrei dovuto prendere due autobus e comunque nessuno di loro mi ha sorpassato mentre scarpinavo del più e del meno. ergo, ho risparmiato tempo. e da poco ho verificato che uno dei due autobus che dovrò prendere al ritorno c'è solo all'una o alle sei di pomeriggio, e in mezzo niente. se scaglio un vaffanculo, esagero?
finiamola qua, se no comincio col mio elenco di lamentele, che somigliano più o meno a quelle di chiunque sia costretto a lavorare per campare e divento soltanto noioso. come ha detto qualcun altro in maniera sicuramente più elegante, non mi serve a una sega sapere che ce l'ho nel culo, se questa consapevolezza non mi aiuta a togliermelo di là.
uno allora si rifugia nelle cose più intime e personali che sicuramente gli hanno dato sempre soddisfazioni e certezze. tipo, il sesso. fatto sta però che son tre o quattro giorni che manco mi tira il cazzo. e allora sai com'è, mi girano un po' le palle.
sarà che c'è un'aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria...
Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra [...] Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.
In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula "sorda e grigia". Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione.
volevo scrivere qualcosa a riguardo della pornografia, esattamente volevo smentire il fatto che la pornografia (almeno quella mainstream) rappresenti comportamenti sessuali verosimili o/e praticati nella quotidianità, anche da persone sessualmente smaliziate. poi, per dare forza alle mie argomentazioni, sono andato alla ricerca del significato letterale della parola pornografia, e vi ho trovato spunto per un'altra riflessione.
vediamo il wikizionario: oscenità di scritti, disegni, immagini, ecc., in cui avviene una rappresentazione esplicita di soggetti erotici e sessuali.
oscenità? mah. vado a vedere il dizionario hoepli online (purtroppo il de mauro non è più disponibile da anni... una prece) e trovo la seguente definizione: rappresentazione di soggetti osceni per mezzo di discorsi, scritti, disegni, fotografie e spettacoli.
ancora quella parola. non contento, consulto la treccani online. dice: trattazione o rappresentazione (attraverso scritti, disegni, fotografie,
film, spettacoli, video ecc.) di soggetti o immagini ritenuti osceni,
fatta con lo scopo di stimolare eroticamente il lettore o lo spettatore.
cedo. vado a controllare il significato di osceno.
hoepli: che offende il pudore con parole, azioni o immagini riferite alla sfera sessuale.
treccani: che offende gravemente il senso del pudore, soprattutto per quanto si riferisce all’ambito della sessualità [...] per estensione, turpe, laido, immondo, ripugnante.
il pudore? il senso del pudore? ragazzi, ma queste sono opinioni: ciascuno ha il senso del pudore che si ritrova, e quindi quel che è osceno per te può non esserlo per me, e viceversa. un vocabolario, qualsiasi strumento di consultazione, dovrebbe invece, a mio modestissimo parere, contenere dati oggettivi e non confutabili, come lo sono invece le opinioni. quindi, sempre secondo il mio modesto parere, definire pornografia come una rappresentazione di oscenità significa non definirla affatto. più corretta, anche se ha dovuto pagare il tributo del rispetto a chi-ne-sa-di-più, la definizione di wikizionario, che perlomeno a quella dell'oscenità aggiunge la definizione di rappresentazione esplicita di soggetti erotici e sessuali. che è quel che cercavo, vivaddio, e tutto sommato anche tutto quel che andava detto: un'informazione semplice e diretta. ma ne siamo più capaci?
comunque, torniamo all'intento originario: la pornografia, per definizione (rido un po', ma senza farmene accorgere), è la rappresentazione della sessualità umana, e il suo nocciolo duro (in inglese, hardcore) è la rappresentazione di atti sessuali reali, cioè non simulati. lasciamo per un attimo da parte il fatto che la definizione di atto sessuale è anch'essa piuttosto vaga e arbitraria e prendiamo per buona la definizione che hardcore sia qualcosa in cui si vede almeno un organo sessuale nell'esercizio delle sue funzioni. il fatto è che, a dispetto della definizione non plus ultra, raramente io trovo realistiche le funzioni rappresentate.
intanto, i protagonisti stessi sono poco credibili: le donne son quasi tutte artificiali e le poche che non lo sono, comunque, appartengono a un tipo di avvenenza stereotipata: giovani, toniche, levigate; gli uomini, idem: giovani, fisicati e con una mazza tanta - ma quello trova giustificazione nel fatto che, se fosse più corta, i corpi dovrebbero stare troppo vicini durante l'accoppiamento e non si vedrebbe più niente. ma poi, vogliamo parlare della gestualità? zum zum zum, zan zan zan, è sempre la solita frenetica tiritera. una cosa così io non mi eccito nemmeno a farla, figuriamoci a guardarla.
poche le eccezioni per quel che riguarda l'aspetto degli attori, moltissime invece le finzioni per quel che riguarda tutto il resto e vorrei dire a quei signori che no, non è così che si scopa: al massimo così ci si masturba col corpo altrui, in ogni caso non state fornendo un buon esempio, considerando che molto spesso la pornografia è l'unica fonte di informazione sul sesso che c'è a disposizione.