giovedì 9 settembre 2010

a serious post


ieri sera un amico mi parlava delle sue reazioni di fronte agli eventi drammatici della vita: la sofferenza altrui, la morte.

mi diceva che di fronte all'altrui sofferenza - e con "altrui" intendeva anche quella di un cane, per dire - non riesce a non provare empatia; nondimeno, il dolore che prova non gli impedisce di reagire in maniera composta e utile ai bisogni del caso.

di fronte alla morte, però, per lui ogni dolore scompare. dice: "come se io riuscissi a chiudere una saracinesca di razionalità, di fronte alla morte io riesco ad essere lucido e distaccato, me ne faccio immediatamente una ragione. io non so se il mio è cinismo o cosa".

no, io non credo che sia cinismo: se fossi cinico, non saresti in grado di provare empatia per chi soffre. se posso dare la mia interpretazione del tuo comportamento, io credo che tutto quello che non è definito, determinato, e per cui non compare una soluzione praticabile ci crea imbarazzo, insofferenza e perfino dolore, specialmente se siamo impotenti di fronte al dolore di un altro, o se ci rendiamo conto che, anche se in qualche modo è possibile che le condizioni cambino, non saranno gli sforzi che noi possiamo profondere a sortire effetti di sostanza.

la morte invece è certa, definitiva e non se ne torna indietro, e la certezza genera quiete. possiamo patire per l'assenza di chi è venuto a mancare, ma sappiamo che non c'è sforzo, impegno o volontà che possiamo mettere in gioco per modificare la condizione. ciò è rassicurante, e ingenera serenità d'animo: nessuno può niente contro la morte, non c'è competizione.

è un post serio, ma non è triste: la consapevolezza dell'ineluttabilità delle cose aiuta anche in circostanze meno tragiche. ma per oggi la pianto qui.

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