lunedì 1 marzo 2010

occhio.

invictus non è un film sul rugby, ci mancherebbe. e nemmeno il rubgy è preso a prestito per istruire una metafora della vita, nonostante sia un gioco che prevede sacrificio, sofferenza e rispetto per l'avversario, soprattutto per l'avversario sconfitto.

no.

clint eastwood non è uomo di buoni sentimenti, ma probabilmente è uomo di sentimenti buoni, nonostante la scorza ruvida di cui gli piace farsi vedere ricoperto: come già nel precedente gran torino, dove l'etica del senso della giustizia al di là delle problematiche individuali è spinta fino al sacrificio personale, qui si parla del senso di equanimità, di equilibrio, di giustizia. quindi occhio a leggere invictus come un film buonista dove alla fine è il bene che vince ed è il male che perde: se guardate bene, in realtà non c'è un cattivo che perde.

uno pensa: sei stato in galera quasi trent'anni senza aver commesso niente. quando esci, sarai perlomeno un tantinello incazzato? incazzato nero, si diceva al tempo, con una facile battuta. e invece no. uno esce di galera e in quei ventisette anni ha meditato a sufficienza per comprendere l'insensatezza del contrasto, della contrapposizione cieca. trova ispirazione in una poesia di william e. henley, quella che dà il titolo al film, questa:

Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo piu' profondo che va da un polo all'altro,
rendo grazie a qualsiasi dio esista
per la mia inconquistabile anima.

Nella morsa della circostanze,
non mi sono tirato indietro, ne' ho pianto.
Sotto i colpi d'ascia della sorte,
il mio capo sanguina, ma non si china.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
non appare niente altro che l'orrore minaccioso delle ombre,
e anche la minaccia degli anni
non mi trova, e non mi troverà spaventato.

Non importa quanto sia stretta la porta...
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino.
Io sono il capitano della mia anima.

e partorisce pensieri come quello che segue, che, coincidenza, ho trovato citato in un giornalino locale, proprio il giorno dopo aver visto il film di cui si parla:

La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati. La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite. E’ la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più. Ci domandiamo: "Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso?" In realtà chi sei tu per non esserlo? Siamo figli di Dio. Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo. Non c’è nulla di illuminato nello sminuire se stessi cosicché gli altri non si sentano insicuri intorno a noi. Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini. Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi: è in ognuno di noi. E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. E quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri.

e quasi quasi ti senti una merdina.

2 commenti:

  1. La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati. La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite. E’ la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più.
    ci pensavo giusto ieri sera a 'sta cosa, mentre guardavo lo spettacolo.. però il senso era: cazzo, e mò?, e mò che non ho fatto niente? ed ho capito che ancora non so bene dov'è la casa delle lucciole.

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  2. L'ho visto sabato e mi è piaciuto tanto!

    Ottima la tua analisi!

    Grazie mille per il commento, CIAO!!! :-D

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Commenti chiusi.

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