era l'inizio dell'estate, entrambi avevano un'età particolare, lui quaranta, lei trentacinque, in cui possono succedere molte cose nell'animo umano ma è meglio non succedano perché è tardi ed è inutile illudersi di tornare ragazzi.
goffredo parise era un signore d'altri tempi, in tutti i sensi: aveva uno stile antico nello scrivere, la sua prosa sa di buone maniere e di quel rispetto della forma che era un po' anche la sostanza di certa borghesia illuminata; e avendo scritto le righe sopra citate quasi quarant'anni fa, non poteva immaginare che l'età in cui possono succedere molte cose nell'animo umano si è oggi spostata in avanti di dieci anni almeno. anche per questo suona ancora più anacronistico il pensiero che segue: oggi, a cinquant'anni un uomo si sente tutt'altro che rassegnato al pensiero che la sua gioventù sia finita e proprio per questo rifiuta di credere che la vita non gli possa più riservare alcuna chance per il futuro.
non c'è un'età per essere felici, ed è ben misera la vita di colui che si rassegna all'idea che è troppo tardi per esserlo.
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